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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
09/12/2022
Nina Simone
Nina Simone Sings the Blues
Il primo album per la RCA Records contiene tutte le caratteristiche che rendono unica e ineguagliabile Nina Simone: la voce, le sue peripezie al piano, i testi inneggianti ai diritti civili o evocanti la sofferenza della popolazione afroamericana e, in una serie di neanche tanto velati doppi sensi, il sesso. Così questi argomenti spesso trattati storicamente nelle canzoni blues prendono vigore e si universalizzano in undici gioiellini ove pure jazz, soul, folk e pop si incontrano vorticosamente, facendo sognare e riflettere l’ascoltatore.

“Sapevate che la voce umana è l'unico strumento puro? Che ha note che nessun altro strumento ha? È come trovarsi tra i tasti di un pianoforte. Le note ci sono, si possono cantare, ma non si trovano su nessun altro strumento. È come per me. Vivo in mezzo a tutto questo. Vivo in entrambi i mondi, il mondo bianco e nero”.

(Nina Simone)

 

Nina Simone è stata e rimane una delle più grandi cantanti del Novecento. Sempre avanti coi tempi, sempre alla ricerca di qualcosa di troppo lontano o inarrivabile per un essere umano, di quella felicità totale che fa tendere all’infinito senza poterla toccare; e se come persona ha vissuto un’esistenza tormentata, dalle violenze subite dal marito manager alle angosce del travagliato rapporto con la figlia, fino agli ultimi anni in bilico tra lucidità, insanità mentale e depressione, la sua purezza e integrità si specchiano nella sua musica, autentica, nuda e cruda, senza compromessi, eterna.

Nata agli inizi degli anni Trenta in North Carolina, Eunice Kathleen Waymon sceglie come nome d’arte Nina (come la chiamava il primo fidanzato) e Simone, in onore dell’attrice francese Simone Signoret. Fin da giovanissima ha uno scopo ben preciso nella vita, diventare una grande pianista, anzi “La più grande pianista d’America…e nera” e concepisce questa aspirazione con sacrificio e costanza, raggiungendo l’obiettivo con una forza incredibile (in un periodo dove le discriminazioni, purtroppo, sono all’ordine del giorno), contribuendo tenacemente all’emancipazione razziale e femminile.

Ambiziosa e genuina, ha un talento smisurato e riesce a esprimersi ai massimi livelli in ogni genere musicale che le sia vicino per radici culturali e sensibilità. Nina Simone Sings the Blues ne è la riprova, significativa pietra miliare di una carriera che tocca l’apice produttivo nel periodo con la RCA Records, tra il 1967 e il 1974. Si tratta del primo disco pubblicato con questa casa discografica, ed è di tutt’altra pasta rispetto al precedente High Priestess of Soul, collezione di brani registrati una manciata d’anni prima, arricchiti da una sofisticata orchestrazione. Sings the Blues contiene invece canti della Terra, del popolo e di tutti i problemi che la gente attraversa vivendo.

 

La Simone non si nasconde dietro a grosse band, sgargianti effetti audio o arrangiamenti studiati. Pur se con un’istintiva diffidenza, “Avevo sentito parlare bene di lui, ma in fondo si trattava comunque sempre di un uomo bianco” si fa guidare dal produttore Denny Davis, già ai servigi di Connie Francis e Chet Atkins, che assembla per lei la crema dei session player di New York. Così ecco comparire lo straordinario chitarrista Eric Gale, che a partire da metà anni Settanta sarà anche protagonista negli Stuff, poi le fonti del ritmo Bernard Purdie (batteria) e Bob Bushnell (basso), il poliedrico Buddy Lucas (armonica e sax) e il pregiato organista Ernie Hayes; a loro si aggiunge un altro chitarrista, Rudy Stevenson, storico collaboratore dell’artista afroamericana, il quale porta in dote anche il pezzo più commerciale del lotto, "Day and Night". La diversa estrazione degli interpreti scelti li porta a fondere la propria esperienza specifica con quella degli altri, creando una ricchezza di intenti, accenti, sfumature, che si riverberano in un amalgama straordinario; una sorprendente performance in cui canto e musica si fanno tutt’uno, tipico dell’espressione più alta del genere.

La sensuale autografa "Do I Move You" apre le danze prima del profondo blues di "In the Dark", dal repertorio di Lil Green (1940). "Real, Real" è un fragrante biscotto che si inzuppa nel gospel, mentre "My Man’s Gone Now" è una delle vette dell’album. Si narra che il 5 gennaio 1967 Nina sia esausta, dopo una lunga giornata di registrazioni, ma comunque si segga al piano cominciando a cantare questa toccante rilettura della canzone di Gershwin presente in Porgy and Bess. Il bassista, folgorato dall’incipit, la accompagna aiutando a creare una versione intensa, ove la straordinaria musicista mette tutta se stessa, recuperando le forze come per magia. Si sente tutta la sua sofferenza, piovono lacrime che bruciano l’anima, rimane infine il sollievo del canto e della mano che scorre la tastiera, in un pezzo da brividi.

"Backlash Blues", scritta a quattro mani con l’amico poeta e drammaturgo Langstone Hughes, è una coltellata al cuore ed evidenzia la sua ferma e appassionata posizione di attivista per i diritti civili. Viene descritto con rabbia e orgoglio il punto di vista di una persona di colore durante il periodo di segregazione, si raccontano le privazioni e umiliazioni subite, si dipinge l’oppressione: “Aumentate le mie tasse, bloccate i miei salari. E mandate mio figlio in Vietnam. Mi date case e scuole di seconda classe. Pensate che tutti gli individui di colore siano solo sciocchi di seconda classe?”. Non solo condanna del razzismo, ma anche rifiuto della guerra, in un quadro sociale tristemente vicino ai giorni nostri. Ora come allora bisogna augurarsi che le cose cambino e chi è oppresso e discriminato possa ribellarsi, trovare conforto e coraggio nel segno della speranza, come viene esclamato nelle ultime righe della canzone, “Mr. Backlash, Mr. Backlash, cosa pensi abbia da perdere?...Sei tu quello che avrà il blues.”, chiaro incitamento a trovare la forza di far valere i propri diritti.

 

Il tema del sesso e il dovere di parlarne anche dal punto di vista femminile, altro motivo di emancipazione per Nina, viene ripreso dopo la già citata e diretta "Do I Move You?" in "I Want a Little Sugar in My Bowl" grazie ad una serie di immagini ammiccanti al piacere. Questo è forse il brano che più la collega a due delle sue predilette, l’Imperatrice del Blues Bessie Smith e l’affascinante Dinah Washington. La traccia più breve dell’opera, la potente "Buck", prosegue tali argomenti, mentre affiora nuovamente la malinconia della Musica del Diavolo nella nostalgica rilettura di "Since I Fell for You", una ballata degli anni Quaranta di Buddy Johnson, riarrangiata con successo da Lenny Welch nel 1963.

Stupisce lo stravolgimento dello standard folk "The House of the Rising Sun", concepito in una rauca versione uptempo rispetto alla celebre hit degli Animals. Il ritmo spiritato le dona un fascino magnetico e frantuma l’incantesimo, togliendo la convinzione che l’unica possibile interpretazione di questo classico potesse avvenire con delicatezza e lentezza. La chiusura dell’opera è azzeccata con l’intima "Blues for Mama", sofferente raffigurazione autobiografica alla cui stesura ha partecipato l’autrice, attrice e attivista Abbey Lincoln. Mama è Nina, nei suoi tormenti amorosi, “ Dicono tu sia cattiva e malvagia…Dicono ti abbia lasciato tutta sola a superare questa vecchia tempesta”, nelle sue riflessioni sulla purezza dei sentimenti e l’incertezza dell’esistenza, “Quando ami tanto un uomo, sei destinata a non essere d'accordo perché nessuno è perfetto, perché nessuno è libero. Hey Lordy mama, dimmi cosa farai. Cosa farai.”     

 

Parlando proprio di libertà e riallacciandoci, quindi, alle parole profonde di questo testo, sobbalza in mente una delle sue frasi più celebri: “Vi dirò che significa per me libertà. Significa non avere paura. Realmente, è non avere paura!” E in realtà non avere paura è stato un ideale a cui tendere, ma spesso ha rappresentato un’utopia nella vita di Nina Simone, che dopo il periodo di grande successo, comunque sempre turbolento fino a metà anni Settanta, subisce un tristissimo declino artistico e personale. A volte il destino restituisce in parte quanto ingiustamente sottratto e nel 1987, per merito di una pubblicità, il meraviglioso motivo pubblicato trent’anni prima intitolato "My Baby Just Cares for Me", capolavoro dal groove delizioso e trascinante come un treno, ridona notorietà a questa stupenda icona del jazz, che vive una seconda stagione d’oro sul finire della decade. Fioccano compilation, ristampe e un ultimo album, A Single Woman (1993), a decretare l’immensità dell’artista, immensità però che fa a pugni con la fragilità della persona, sempre più intristita e inguaiata da turbe psichiche e acciacchi fisici.

L’alta sacerdotessa del soul, soprannome comunque da lei sempre osteggiato, vive gli ultimi anni in Francia e affronta una terribile lunga malattia che le farà abbandonare questa Terra nel 2003, lasciando in eredità un insegnamento incredibile: con tenacia, risolutezza e ardore spesso si possono realizzare i sogni. Non solo la più grande pianista, Nina Simone è diventata una delle più grandi cantanti afroamericane e le sue opere resteranno come patrimonio inalienabile in una stagione storica in cui il dominio dell’uomo sull’uomo continua ad assumere aspetti dolorosi e drammatici.