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MAKING MOVIESAL CINEMA
Niente da nascondere
Michael Haneke
2005  (Prime Video, Mubi)
DRAMMATICO
8,5/10
all MAKING MOVIES
17/04/2023
Michael Haneke
Niente da nascondere
Haneke ci trascina in un film che inizia come un inganno all'occhio dello spettatore, per poi mettere pian piano in discussione la veridicità non solo delle immagini, ma anche dei rapporti interpersonali tra i protagonisti. Non ultimo si affronta l'ipocrisia di una classe borghese colta e benestante, impreparata nel confronto con l'altro da sé.

Michael Haneke apre il suo Niente da nascondere con una delle sequenze meglio riuscite del cinema del nuovo millennio. Lo fa senza dispendio di mezzi, tramite un piccolo inganno, una messa in discussione della veridicità dell'immagine, dell'occhio dello spettatore, instillando un dubbio che tornerà a ripetersi nel corso della narrazione, donando al suo film fin dalle prime battute un'ambiguità che non si dissiperà fino alla fine e in realtà nemmeno allora.

Camera fissa: dall'interno di una piccola strada, Rue des Iris, guardiamo la traversa prospicente e l'agglomerato urbano che la sovrasta. Di fronte una casa bassa, un cancelletto, delle automobili parcheggiate sul davanti; alle spalle alcuni condomini più alti. Su questo sfondo si compongono i credits del film, rumori di fondo, nessuna musica.

Noi spettatori siamo lì, in Rue des Iris, insieme al regista guardiamo il civico 49 della strada di fronte; un uomo entra da destra nell'inquadratura, attraversa lo schermo, ne esce a sinistra. Dopo qualche istante Juliette Binoche esce di casa, si allontana nella stessa direzione verso la quale è andato l'uomo, da lì arriva un ciclista, si infila in Rue des Iris e ci passa accanto, si sentono delle voci, lui chiede "dov'era", in riferimento a qualcosa, lei risponde "in una busta di plastica davanti alla porta", la via si anima un po': un'auto, un paio di passanti.

L'inquadratura si sposta, più vicina alla porta del 49, più laterale, dalla casa esce Daniel Auteuil, evidentemente il padrone della voce maschile, subito dopo ne esce anche Juliette Binoche; ma non era già uscita qualche istante prima? Auteuil attraversa la strada, si ferma all'imbocco di Rue des Iris, guarda nella direzione in cui noi spettatori eravamo fino a pochi secondi prima, cerca perplesso qualcosa con lo sguardo, non trovandolo torna in casa insieme alla Binoche.

L'inquadratura, e noi con essa, torna alla posizione originaria, la coppia scambia ancora qualche battuta fuori campo (loro ormai sono in casa). Qui cambia tutto, l'immagine si increspa, l'inquadratura è chiaramente una registrazione su videocassetta ora mandata avanti velocemente, noi spettatori non siamo mai stati in Rue des Iris, siamo sempre stati in casa anche noi, con loro, davanti al televisore a guardare la registrazione effettuata da qualcuno che da Rue des Iris ha spiato e ripreso la casa e i movimenti dei due protagonisti. Ma a che scopo?

 

Tutto il film di Haneke è una messa in discussione: non solo di ciò che vediamo ma anche di ciò che i protagonisti dicono, raccontano, ricordano. È una messa in discussione del loro passato, della loro onestà, dei loro rapporti. Georges (Daniel Auteuil) è un affermato conduttore televisivo, sua moglie Ann lavora nell'editoria; i due sono una coppia benestante, alta borghesia come Haneke ci fa capire dalla loro casa: benessere, pareti che straripano di cultura, familiarità, begli amici.

La loro serenità è sconvolta da queste videocassette che mostrano chiaramente che qualcuno sta spiano la famiglia Laurent, Georges, Ann, ma anche loro figlio Pierrot (Lester Makedonsky). Poi arrivano i disegni, il volto di un bambino che all'apparenza sputa sangue. A questi disegni si accavallano flash enigmatici che mettono in dubbio la reale inconsapevolezza di George di fronte a questi nuovi eventi, in seguito ai quali muta non solo il comportamento dell'uomo ma anche il suo rapporto con la verità, con il rimosso del suo passato, con la stessa Ann.

Per Haneke il fulcro del film non sarà più (non è stato mai) lo scandagliare il mistero, la ricerca di un colpevole, di un motivo, quanto il rapporto che il suo protagonista instaurerà con gli eventi, con la nuova situazione che lo porterà a tornare alla madre, al suo passato di bambino nel quale c'era un amico di giochi che potenzialmente avrebbe potuto diventare qualcosa di più.

 

Haneke, come già in altre suo opere, racconta le sue storie con grande lucidità e freddezza, qui ammanta tutto in un'ambiguità celante, una sensazione di dubbio e incertezza che permarrà per tutto il film e nello spettatore anche oltre, così come alcune cose si svolgono nel film fuori dal quadro, per chi guarda alcune supposizioni si svilupperanno oltre il prodotto, a visione ultimata e digerita. Nessuna risposta, solo ipotesi, niente da nascondere ma nemmeno nulla da rivelare, almeno non apertamente.

In realtà tornano i temi di una classe agiata (come in Funny games) travolta dall'esterno all'improvviso da un atto violento (sempre Funny games) anche se qui non fisico. Si sgretolano le sicurezze, le imperturbabilità, affiora un senso di minaccia, di agitazione e l'incapacità di far fronte alle crisi che l'altro ci presenta in conto (succede tutti i giorni su scala più ampia di quella familiare) da parte di una società appagata, egoista e finanche crudele nei confronti dell'altro da sé. All'apparenza Niente da nascondere può sembrare più semplice e meno finito di altre opere di Haneke, riletto a freddo si rivela invece come un'opera ricca di contenuti e incredibilmente compiuta.