A volte non serve essere parte di una comunità religiosa per essere tagliati fuori dal mondo.
Basta essere una donna, una ragazza, parte di quei paesini rurali e di provincia, dove niente succede, dove tutto succede dietro tante facciate.
Dove la birra non manca mai nel frigo di casa, dove fischiare, lasciarsi andare a commenti e comportamenti pesanti non viene visto come offensivo.
È qui che abita Autumn, qui che deve fare i conti con una gravidanza non desiderata, non voluta.
Sola, con una situazione familiare inquadrabile in pochi sguardi, in poche battute, trova il coraggio di andare in un consultorio dove l'aborto non è contemplato, è quanto mai sconsigliato.
A 17 anni, con il mondo contro e una pelle dura da scalfire, che fare?
Prendere il primo autobus del mattino, andare nella grande, caotica, sconosciuta New York e cercare aiuto da Planned Parenthood.
Sì, proprio quei consultori che Trump minaccia di chiudere, che non ricevono il sostegno necessario, osteggiati da religiosi e antiabortisti.
Oltre che con la città, Autumn si scontra con la burocrazia, con la freddezza di chi non capisce la situazione, con i pregiudizi che ovviamente si formano, e la paura che non molla mai.
Fortuna che c'è una cugina, spaesata e meno imbronciata, pronta ad aiutarla, a starle vicino per quanto difficile, a fare davvero di tutto per lei.
Sarà un viaggio di tre giorni e due notti, dove non ci sente mai sicure, si dorme raramente, si sorride a volte, ci si fa forza l'una con l'altra, sempre.
Anche quando non sembra.
Presentato prima al Sundance poi a Berlino (dove ha vinto il Leone d'argento) Never Rarely Sometimes Always è la definizione perfetta di film necessario.
Oggi più che mai.
Oggi che l'aborto viene ancora osteggiato, reso quasi impraticabile, oggi che si minaccia di renderlo nuovamente illegale.
Più vero, più freddo e intenso dell'episodio dedicato da Sex Education, Never Rarely Sometimes Always mostra le procedure, i questionari da compilare, le soluzioni finanziarie e assicurative, fa in modo di mettere per un po' in pace Autumn: si può risolvere, sono lì per ascoltarla, sempre.
Lo si fa senza oltrepassare la linea della glorificazione e della santificazione di certi centri e di chi ci lavora.
Al contrario, praticamente ogni uomo, ogni ragazzo presente nel film, fa paura.
Ogni sguardo, ogni tocco, ogni parola pesano.
Sempre.
Sembrano non poterci sfuggire, né Autumn né Skylar, calamite loro malgrado.
Pure la macchina da presa non le lascia, con primissimi piani intensi, con inquadrature così ravvicinate.
Loro, diverse ma uguali, cugine ma soprattutto amiche, anche quando quell'amicizia sembra incrinarsi, sono il legame che non si spezza.
Basta un gesto, un tocco, una parola, e l'atmosfera non è più tesa.
Ci si può concedere un respiro, un sorriso.
Il film vive di questo: di quello che poteva essere una piccola ma grande decisione che si trasforma in una piccola fuga, che diventa un grande viaggio.
Un piccolo film, allora, che si fa grande.
Grande davvero.