Contaminare, ibridare, sperimentare, cercare diverse forme espressive nello stesso contesto: tutte operazioni che richiedono consapevolezza, maturità e visione d’insieme, perché, diversamente, il rischio è quello di pasticciare, di creare un inconcludente guazzabuglio e non un appetitoso minestrone. Gli americani Unto Others, nome che ha sostituito il precedente Idle Hands, sono una band con le idee chiarissime, capaci di plasmare il genere metal, punto di partenza della loro proposta, in qualcosa di completamente diverso, in uno sfizioso gioco di contrapposizioni e antitesi, che inizialmente spiazza, ma colpisce esattamente il centro del bersaglio. E’ l’abilità di un talentuoso chef: mettere tanta carne al fuoco, senza sbagliare la cottura, senza perdere profumi e sapori, e offrire ai commensali una grigliata perfetta.
La band originaria di Portland ha profonde radici gotiche, ama l’oscurità e il crepuscolo, ma si distingue da altri gruppi che vagano al limitare della notte, grazie alla capacità di creare hook elettrizzanti, di concedere qualcosa al mainstream, di rischiare l’azzardo, anche estremo, e di mitigare l’espressione cupa da sad metaller, diluendo il pessimismo con una sottotraccia divertita e sfacciata. In tal senso, Never Neverland riesce a sviluppare un suono avventuroso, in cui si sente l’influenza della vecchia scuola gotica, senza, tuttavia, che quel suono immediatamente riconoscibile (Sister Of Mercy, Type O Negative, Cure, etc.) sia predominante, ma inserendolo semmai come fil rouge in un contesto più variegato ed eterogeneo.
Il tiro quadrato di "Butterfly", brano che apre il disco, fa pensare a tutti i riferimenti appena citati (il canto profondo, baritonale, respingente di Gabriel Franco, così come il tappeto di tastiere arrivano proprio dagli anni ’80) ma i riff potenti e gli assoli sono patrimonio della più classica scuola metal. Il risultato è una canzone che sta in perfetto equilibrio fra mood depressivo e groove trascinante, che spicca, poi, il volo in un ritornello immediatamente assimilabile.
Inizia così una scaletta che porta l’ascoltatore ovunque, a partire dalla successiva "Momma Likes The Doors Closed", follia monocromatica che spinge sull’acceleratore di un metal ottantiano (Judas Priest), per poi confluire in un’inaspettata parentesi funky, prima di un finale ansiogeno dai connotati horror. "Angel Of The Night" è puro goth rock, il basso martellante, la ritmica potente, il cantato arreso e baritonale, le chitarre riverberate portano in territori già esplorati dai Sister Of Mercy, anche se nel crepuscolo si sente il tepore melodico di un ritornello splendido.
Sono tante le belle canzoni all’arco degli Unto Others, e anche se talvolta il contesto estremamente eterogeno fa girare la testa, il livello d’ispirazione è tale da mantenere in piedi la struttura di Never, Neverland senza che si percepiscano sinistri scricchiolii. Se "Glass Slippers" e "Farewell" sono due strumentali, brevi e malinconici, non indispensabili, ma comunque piacevoli, sono parecchi i momenti in grado di far saltare l’ascoltatore sulla sedia. L’ironica "Suicide Today" nasconde dietro uno sferragliante muro di chitarre e un tiratissimo ritornello un riff di chitarra che farà piacere ai fan degli Smiths (e se aguzzate le orecchie troverete la stessa sensazione anche in "Time Goes On"), "Flatline" è una sfuriata di un minuto e mezzo a cavallo tra black metal e punk, "Sunshine" si addentra addirittura in territori arena rock con effetti sorprendenti, mentre "Cold Word", con quel sentore che rimanda a "Frederick" di Patti Smith, è un brano che trabocca di uncinanti ganci melodici. E se "Fame" centra il perfetto punto di fusione fra Judas Priest e Sister Of Mercy, "Raigeki" fila dritta come un fuso su coordinate che rimandano a suoni dark anni ’80, appena scartavetrati da una maggior intensità rock nel ritornello.
Chiude il disco la ritmica quadrata della title track, calando il sipario su una scaletta tortuosa ma di sicuro impatto. D’altra parte gli Unto Others hanno sempre dimostrato di saper far bene soprattutto una cosa: mischiare le carte e tirar fuori dalla penombra del loro mondo goth quell’asso nella manica che risulta sempre vincente, e cioè la melodia.
La band di Portland sa barare, convince l’ascoltatore di essere immerso nelle trame di un incubo notturno, o messo con le spalle al muro da uno tsunami elettrico, per poi trarlo in salvo con un ritornello che più orecchiabile non si può, di quelli da canticchiare anche quando l’ascolto del disco finisce. Intelligenza, maturità e divertita spregiudicatezza.