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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/04/2025
Live Report
Negrita, 08/04/2025, Atlantico, Roma
Un boato scuote l’Atlantico: dopo sette anni dal loro ultimo album in studio, i Negrita tornano con il tour promozionale del nuovo “Canzoni per anni spietati” che a partire dalla capitale porta in giro per l’Italia un manifesto musicale che invoca autenticità per combattere le semplificazioni di un’epoca confusa e violenta e parlare al cuore di eterni ribelli.

Nebbia a banchi nell’Atlantico, stasera. Una nebbia densa che quasi ci si appiccica addosso mentre navighiamo a vista seguendo le luci baluginanti e le voci di una folla impaziente. Gianluca raggiunge lo spazio riservato ai fotografi, io mi faccio largo tra la folla ma evito il fronte del palco, la riserva dei fedelissimi e mi sistemo tra un gruppetto di spettatori meno arroventati dall’attesa. Qui posso guardarmi intorno e dare un’occhiata a questa selezione di sfegatati ammiratori dei Negrita, la band di Arezzo che da più di trenta anni occupa un posto di tutto rilievo nel panorama musicale italiano.

Anche se della band originale rimangono oggi Paolo "Pau" Bruni, la voce e Enrico "Drigo" Salvi e Cesare "Mac" Petricich, le due chitarre solista e ritmica, i Negrita sono uno degli ensemble più longevi e influenti: si sono infatti sempre distinti per il loro sound eclettico che mescola rock alternativo, blues, reggae, funk e influenze latine. È stata la voglia di sperimentare generi diversi e di evolversi nel tempo che ha permesso alla formazione di rimanere nei primi posti in classifica, pubblicare undici album da studio e scrivere alcune pietre miliari del rock italiano. L’audace alchimia tra elementi elettronici e ritmi latini li ha aiutati a costruire un’identità peculiare sulla scena nazionale e internazionale, ridefinendo decisamente un genere tra gli anni Novanta e Duemila: la loro capacità di innovare e adattarsi ai cambiamenti musicali ha garantito loro la fedeltà di un pubblico più datato ma anche la curiosità e il gradimento delle nuove generazioni.

A marzo di quest’anno la band ritorna, pubblicando un nuovo album che è una dolente e romantica riflessione sulla società di oggi, un viaggio attraverso sonorità folk, rock, blues e accenti mediterranei, un incandescente ritorno alle scene dopo sette anni dall'ultimo lavoro in studio. Le nove tracce disegnano un percorso critico, una meditazione accorata su un mondo in crisi, dove si leggono la disillusione e il senso di fallimento generazionale, modulati attraverso la sapiente miscela di momenti acustici ed esplosioni elettriche, che fanno riaffiorare radici profonde ma lasciano spazio anche a nuovi territori. Ed è proprio dalla capitale che inizia il tour dedicato a quest’album ammaliante e inquietante, a questa nuova prova di lirismo appassionato e arrangiamenti sensuali.

 

L’attesa si fa più impellente: rumoreggiano questi vecchi ragazzi degli anni '90, ormai cresciuti ma ancora impazienti di sentirsi giovani e ribelli, insieme a nuovi ragazzi, che trovano in questa band dal suono ruvido ed elegante la scintilla di un pensiero indocile, forse uno degli ultimi afflati di un’anima rock ancora sincera e fuori dagli schemi, l’abbraccio universale di una musica che parla di rivoluzione e di emozione, della ricerca di connessione e, con un pizzico di sana ingenuità, di pace.

Non è per caso quindi che all’improvviso esplodono le note di “Give Peace A Chance” di Lennon e un lampo blu squarcia la nebbia che domina l’Atlantico: omaggio ad una intrepida speranza o alla forza dell’unica idea che da sola può scacciare la foschia mediatica che ormai annebbia le coscienze? La band esce tra urla e applausi scroscianti e attacca con la tuonante “Nel blu (lettera ai padroni della terra)” un omaggio alla dylaniana “Masters of War”, il grido manifesto per un’umanità sperduta tra disinformazione e manipolazione, la voce di antieroi che si fanno testimoni di una rinnovata istanza di consapevole ribellione. Pau attacca con voce potente, le chitarre di Mac e Drigo fanno tremare l’aria stessa: la band ha un sound che percuote gli spettatori, un rock che si fa puro impatto sonoro, grazie anche alla sapiente sezione ritmica di Giacomo Rossetti al basso e Cristiano Dalla Pellegrina alla batteria, coadiuvati dall’eccellente lavoro di Guglielmo Ridolfo Gagliano alle tastiere.

 

La band saluta il pubblico romano, forse con una punta di trepidazione inconsueta per professionisti abituati a decenni di live con piazze di ogni genere: che sia l’inquietudine per un gruppo che è rimasto ancora saldamente autentico nelle sue emozioni, sempre alla ricerca di un contatto reale con il proprio pubblico, la connessione più profonda con i cuori dei loro ascoltatori? Di certo questo pubblico non tarda a confermare questa congiunzione quasi esistenziale con i suoi beniamini: il boato di acclamazioni e fischi inebriati, le mani alzate a salutare questo ritorno così atteso, la voglia di abbeverarsi ad uno zampillo di ispirazione sincera, la smania di farsi travolgere da un’onda di musica e parole.

Confortati, riconfermati, osannati, i Negrita riprendono una girandola continua che inanella una sequenza di brani che alternano l’interpretazione delle tracce del nuovo album (“Non esistono innocenti amico mio”, “Buona Fortuna”, “Song To Dylan”, “Ama O Lascia Stare”, “Noi Siamo Gli Altri”) a vecchi successi come “Cambio”, “Ehi! Negrita”, “Mama Maé”, “In ogni atomo”, “Rotolando verso sud”, “Dannato vivere”, “Bambole”, “Radio conga”, e tante altre. Difficile render conto di una lista lunga che ha riempito uno spettacolo di due ore, una performance sostenuta che riconferma un passato solido ma al tempo stesso dipana un presente incandescente, un approccio nuovo che impasta ribellione rock, radici folk e poesia sociale.

Il gruppo cesella questo nuovo assetto che mescola sonorità acustiche ed elettriche, scandite dalla voce graffiante di Pau e dalla sinuosa armonia delle chitarre di Drigo e Mac, che intonano un dialogo equilibrato sostenuto dal ritmo rassicurante di basso e batteria. È una nuova maturità musicale che certo non dimentica un passato mai sopito che li ha visti attraversare il garage rock, la sperimentazione elettronica, ibridando cadenze tribali e colori mediterranei. Ora però è il tempo di scavare con passione e decisione la rabbia dentro questi cuori smarriti, plasmando un futuro dove verità e giustizia tornino ad essere non solo un orizzonte estetico, ma un percorso pratico, una necessità ineludibile, un ritornello da scrivere con parole affilate e forgiare con note di fuoco sulla carne sensibile di questi vecchi e nuovi ribelli.

 

I Negrita ci hanno regalato uno spettacolo maturo, svolto con meticolosità e professionalità da un complesso che non spinge su solismi e protagonismi, ma compone un tessuto musicale che si staglia con decisione nelle orecchie degli ascoltatori, con testi che parlano di uguaglianza, di libertà, di comunicazione, di riscoperta e di naturalità nei rapporti. Hanno testimoniato la ricerca di una connessione più autentica, immediata, un dialogo che parla al cuore e alla mente, con testi capaci di emozionare e far riflettere, oltre che entusiasmare e rassicurare.

Qui dalla sponda di questo Atlantico è tutto: non possiamo fare a meno di ricordare che questo nome evoca la forza titanica di un gigante mitologico che sosteneva il cielo sulle spalle e la dimensione sconfinata di un oceano dove ogni onda racconta una storia e ogni profondità nasconde un mistero da scoprire. Il messaggio nella bottiglia che ci portiamo a casa mentre sciamiamo insieme alla folla inebriata da questa pirotecnia di luci, suoni ed emozioni è che in fondo basta poco per essere felici, basta reimparare a sognare.

 

 

Le foto della serata, a cura di Gianluca D'Alessandria