L’attesissimo terzo album dei canadesi Japandroids si apre con Near To The Wild Heart Of Life il brano che intitola anche l’intera raccolta. La cifra stilistica del disco sta tutta lì. Classic Rock come se piovesse. Classico anche nel dividere l’opinione del pubblico, per alcuni da premiare con voti altissimi, da stroncare in maniera irriguardosa per altri. Delle asperità Garage, Punk e Noise che li aveva contraddistinti agli esordi del 2009 (Post-Nothing) - in parte riviste e corrette nel fortunatissimo seguito Celebration Rock del 2012 - rimane poco o niente. Un ulteriore aggiustamento di rotta che dovrebbe quindi agevolare Brian King (vc, ch) e David Prowse (vc, bt) nel loro progetto di Rock chitarristico più conforme alle arene e alle zone alte delle chart piuttosto che ai club dell’underground. Proseguendo nell’ascolto, la sensazione iniziale è subito rafforzata dai riferimenti a cui si sono ispirati, sembra di trovarci, scaraventati all’indietro di un paio di decenni, nell’Inghilterra del Rock più barricadero. Percussioni instancabili, clangori di chitarre, voce declamatoria, coretti da stadio (la specialità della casa). Siamo dalle parti di Alarm e Big Country, quelli però a fine carriera, indomiti rivoluzionari seppure attempati, un nuovo disco come pretesto per andare in tour, gli inni di vent’anni prima per infervorare il pubblico: la lady di ferro è andata in pensione ma Tony Blair fa schifo uguale. Niente male per due canadesi nati e cresciuti a Vancouver, bisogna riconoscerglielo, in soli tre dischi sono riusciti a mettere nel loro mirino buona parte del Rock indipendente degli 80 e dei 90. Per farla breve: dagli Husker Du ai Nirvana passando per i Replacements e i Dinosaur Jr.. Ora l’infatuazione per la Union Jack e il Rock da combattimento. Sentite per esempio le chitarre tonitruanti in North East South West e Midnight To Morning, oppure il refrain infiamma laringi di No Known Drink Or Drug. Poi, in coda alla scaletta, A Body Like A Grave, colpo al cuore per i resistenti d’ogni dove: un pezzo alla Billy Bragg come non si sentiva da tempo. Davvero impossibile voler loro del male, l’impatto sonoro è sempre clamoroso, sono in due ma fanno almeno per quattro e riescono a trasmettere una sensazione di gradevole amarcord. Il problema sta nelle canzoni, non una che vada oltre la piattezza delle proposte radio friendly e regali qualche buona vibrazione come era lecito aspettarsi dal duo canadese. Fossimo qui a parlare del debutto di una nuova band verrebbe da pretendere almeno un paio di belle cover perché coi brani originali ancora non ci siamo. Near To The Wild Heart Of Life è dunque il primo passo falso in carriera, niente di irreparabile, sempre se riusciranno a non esagerare in questo processo di graduale e un po’ troppa ostentata normalizzazione. Come d’abitudine sulla copertina c’è uno scatto in b/n: David e Brian s’abbracciavano affettuosamente su Post-Nothing, sorridevano su Celebration Rock, qui invece sembrano infiacchiti e demoralizzati. Vuoi vedere che avevano appena finito di ascoltare l’ultimo disco dei Japandroids?