“Vedi, c’è un punto solo in cui ti sono superiore: io sono sveglio,
mentre tu lo sei soltanto a metà, anzi a volte dormi del tutto. Per me, sveglio è chi conosce con l’intelletto e con la coscienza sé stesso, le proprie forze intime e irrazionali, i propri istinti e le proprie debolezze, e sa tenerne conto.”
Se si desidera comprendere al meglio l’attività letteraria di Hermann Hesse (tra narrativa, saggistica, critica e poetica), è necessario soffermarsi su alcuni eventi della sua vita che sono stati determinanti per la formazione del suo pensiero e che sono allo stesso tempo punto di partenza e filo conduttore di tante storie differenti che però hanno sempre un minimo comune denominatore: la ricerca dell’Io.
Tutti i protagonisti di Hesse (Calw, Germania 1877 – Montagnola, Canton Ticino 1962), infatti, a un certo punto della loro esistenza, si ritrovano a fare i conti con sé stessi e con quella che è la loro vera indole. Imboccano la strada più difficile e affrontano i propri demoni, superando prove e difficoltà. Si scavano dentro, incessantemente, senza aver paura di porsi delle domande, perché si sa che la ricerca dell’Io è sempre un processo interiore complesso e tortuoso, tutt’altro che facile, che ci mette a nudo, in contatto profondo con noi stessi, con quelli che sono i nostri punti di forza ma anche e soprattutto con le nostre paure, debolezze e fragilità. La ricompensa finale però, per chi ha il coraggio e la determinazione di arrivare fino in fondo, è la libertà, attraverso l’affermazione della propria identità.
Hesse stesso, per certi versi, è il protagonista delle sue storie: a soli 15 anni tentò il suicidio per ribellarsi e sottrarsi al volere dei suoi genitori che lo avevano indirizzato verso gli studi di teologia. Lui, però, dotato di una personalità fortemente artistica e di un animo sensibile, sentiva di avere altre inclinazioni. Da suo padre e suo nonno, che erano stati missionari in India, assorbì non solo un grande interesse per il pensiero orientale, ma anche una mentalità cosmopolita e un’attrazione particolare per le materie umanistiche. Così, ancora giovanissimo, lasciò la sua famiglia, si manteneva lavorando come libraio, nel frattempo studiava come autodidatta e scriveva.
Pacifista convinto, ha vissuto l’orrore delle due guerre mondiali, che lo hanno segnato profondamente; si è sposato per ben tre volte, si è ritrovato ad affrontare e superare diverse crisi esistenziali e nel contempo scriveva incessantemente, traendo ispirazione dalla sua vita e dalle sue esperienze. La sua produzione letteraria è vastissima e nel 1946 venne insignito del Premio Nobel per la letteratura.
La scrittura, per lui, non era solo ragione di vita ma anche un mezzo per trasmettere messaggi importanti, come quello di non aver paura di vivere la vita con azzardo, osando e scegliendo sempre e di imparare ad accettare (e convivere) con le contraddizioni che albergano dentro di noi e che governano il mondo: ragione e istinto, natura e spirito.
Il viaggio e il pellegrinaggio sono usati come metafora della vita che, esattamente come il viaggio, procede per tappe. La narrazione tradizionale, spesso e volentieri, si alterna a momenti fiabeschi, allegorici e onirici.
Anche in Narciso e Boccadoro (pubblicato per la prima volta nel 1930, in Italia nel 1933) ritroviamo molti di questi elementi.
Il romanzo è ambientato nel Medioevo e si apre nel convento di Mariabronn dove Narciso, giovane monaco, aveva da poco iniziato il noviziato. Erudito, dotato di una straordinaria profondità di pensiero, nonostante la giovane età, viste le sue grandi doti e la sua saggezza, diventa da subito insegnante di greco nella scuola del convento dove un giorno arriverà Boccadoro come allievo. Boccadoro si ritrova in convento unicamente per volere del padre che desidera per lui un’educazione rigida, al fine di placarne l’indole “peccaminosa” che, a suo avviso, ha ereditato dalla madre.
Boccadoro è un giovane brillante, estroverso, dotato di grandissima sensibilità e di potenzialità inesplorate, pieno di contrasti interiori e di nodi da sciogliere, costretto dal padre in una gabbia che lui sembra accettare di buongrado.
È evidente fin da subito la natura opposta dei due protagonisti: Narciso è uomo di pensiero, mentre Boccadoro è il sognatore.
“Narciso aveva subito compreso quale magnifico uccello d’oro gli fosse volato incontro. Solitario com’era nella sua superiorità, aveva da subito sentito in Boccadoro l’anima affine, benché sembrasse il suo opposto in tutto… Ma c’era al di sopra dei contrasti qualcosa che li accomunava: entrambi erano nature superiori, entrambi si distinguevano dagli altri per doti e caratteristiche palesi, entrambi avevano ricevuto un monito particolare dal destino.”
Tra i due, pian piano, nasce un rapporto intenso e profondo di rispetto e amicizia. Narciso diventa il punto di riferimento di Boccadoro; grazie alla sua capacità di scrutare nel profondo l’animo umano e di coglierne la vera essenza, si rivelerà una figura determinante per la vita di Boccadoro, che grazie all’amico comprenderà di non essere tagliato per la vita monastica e partirà per un lungo viaggio.
“Hai dimenticato la tua infanzia, e dalle profondità della tua anima essa ti cerca. Ti farà soffrire finché non le avrai dato ascolto… Le nature come la tua, dotate di sensi forti e delicati, gli ispirati, i sognatori, i poeti, gli amanti sono quasi sempre superiori a noi uomini di pensiero. La vostra origine è materna. Voi vivete nella pienezza, a voi è data la forza dell’amore e della esperienza viva. Noi spirituali, che pur sembriamo spesso guidarvi e dirigervi, non viviamo nella pienezza, viviamo nell’aridità. …”
Il viaggio di Boccadoro sarà lungo e pieno di insidie. Conoscerà l’amore e le sue pene, la morte, la fame, la perdita, la guerra, la disperazione, la bellezza e tutto il ventaglio di stati d’animo e di esperienze di cui si compone la vita di un essere umano. Esperienze che, per forza di cose, nel romanzo sono estremizzate, al fine di rendere ancora più incisivo il messaggio finale su quella che è la morale del racconto. Morale che verrà svelata chiaramente solo alla fine, attraverso la voce narrante di Narciso che spiegherà a Boccadoro come la via per la pace non possa prescindere dalla ricerca e dall’accettazione di quelli che sono i nostri tratti dominanti. In alcuni di noi domina lo spirito (il pensiero) e in altri la natura (il sogno), in quello che è l’eterno contrasto tra razionalità e istinto. E in ogni caso che “C’è la pace, senza dubbio, ma non una pace che alberghi durevolmente in noi e non ci abbandoni più. C’è solo una pace che si conquista continuamente con lotte senza tregua, e tale conquista dev’essere rinnovata giorno per giorno.”
Hermann Hesse divide da sempre critica, pubblico e colleghi scrittori su quello che è il suo reale valore artistico, perché spesso accusato di essere “banale”, “appena un gradino più in alto degli autori di romanzetti rosa per signorine”. Ma d’altro canto, è pressoché impossibile esprimere giudizi univoci sull’arte, qualunque forma essa abbia. È tuttavia innegabile che, attraverso una scrittura semplice e comprensibile, ma allo stesso tempo poetica, arricchita da metafore, allegorie e pensieri filosofici, riesce ad arrivare facilmente al lettore, inducendolo a riflettere e a porsi delle domande che in alcuni casi possono apparire scomode e in altri rivelatrici, quasi illuminanti.
A tal riguardo, vi chiedo: quanti sono gli esseri umani che possono dichiararsi realmente liberi? Quelli che vivono realmente la vita che desiderano, che hanno lottato per ottenerla e che si riconoscono per quel che sono, ogniqualvolta si guardano allo specchio?