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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/12/2024
Live Report
Nada Surf + Lowinsky, 07/12/2024, Santeria Toscana 31, Milano
Persone felici che cantano dalle prime file i ritornelli assieme al gruppo sul palco. Questa la fotografia migliore di una band innamorata della propria musica, che ancora oggi suona come se fosse il primo giorno e che concepisce i concerti come una grande occasione di festa. Sabato sera al Santeria Toscana i Nada Surf e i supperter Lowinsky hanno dato gran prova del loro talento.

Potere delle coincidenze: abbiamo visto i Nada Surf per l’ultima volta dalle nostre parti esattamente due anni fa, sempre a inizio dicembre e sempre a Milano, nell’ottima e ultra collaudata cornice della Santeria Toscana. Allora quella data rappresentava il momento della libertà e del ritorno ai live, dopo che il tour di Never Not Together era stato più volte rimandato a causa del Covid; a questo giro il contesto è finalmente più tranquillo e “normalizzato”: la solita routine disco/tour a cui loro, da veterani quali sono, dovrebbero essere ormai abituati.

Moon Mirror, uscito a settembre (qui la nostra recensione), è infatti l’undicesimo capitolo di una carriera iniziata nel 1996 (se prendiamo l’esordio discografico come punto di riferimento) e che da allora ha proceduto sicura senza intoppi, facendo di Matthew Caws e compagni uno dei nomi di riferimento del cosiddetto Rock alternativo, quando ancora una definizione del genere era in grado di veicolare un mondo ben preciso.

 

Moon Mirror, dicevamo; è fuori da poco meno di tre mesi ma il punto è già chiaro: che un gruppo così, dopo trent’anni di carriera, riesca ancora a tirare fuori canzoni di questo livello non è affatto scontato. Sta di fatto che ci sembra che questo nuovo lavoro non abbia nulla, ma proprio nulla da invidiare a classici come Let Go e The Proximity Effect. Non siamo più negli anni Novanta e neppure nei primi Duemila, un certo tipo di suono è da tempo sparito dai radar, eppure i Nada Surf vanno avanti imperterriti per la loro strada: il concerto di questa sera dimostrerà che hanno ampiamente ragione.

Siamo ormai arrivati alla fine del tour europeo, quella di Milano è la penultima data, la sera dopo saranno a Clermont-Ferrand, in Francia, e poi sarà il momento di tornare, portando a casa un bilancio senza dubbio positivo.

 

Ad aprire questa sera ci sono i Lowinsky di Carlo Pinchetti, che sta vivendo settimane di grandi soddisfazioni, dopo che a inizio novembre ha avuto modo di aprire (in solitaria) anche il concerto milanese di Evan Dando, uno dei suoi principali punti di riferimento musicali.

Il gruppo, che ha pubblicato lo scorso anno Triste Sbaglio Sempre Lontani (qui la nostra recensione) e che sta al momento lavorando a nuova musica (un assaggio ne è stato dato a fine set, con la prima esecuzione in assoluto di “Alice inizia a capire”, un buon brano tirato, dal feeling Punk e dal ritornello molto coinvolgente, evidentemente ispirato al classico dei Lemonheads “Alison’s Starting to Happen”), sembra ormai aver trovato un assetto stabile.

L’ingresso di Federico Inguscio alla batteria ha dato senza dubbio nuova linfa alla formazione e anche stasera il suo drumming è pulito e preciso, funzionale al tiro e alla dinamicità dei brani. Il resto è bello come al solito, con Davide Tassetti alla chitarra, a riempire egregiamente le ritmiche di Pinchetti, Linda Gandolfi ai cori e alle seconde voci, Elena Ghisleri al basso. Una formazione rodata e affiatata che, potendo finalmente esibirsi su un palco di una certa importanza, offre una prestazione di ottimo livello, col suo Indie Rock che non si vergogna di citare le fonti (significativa, a tale riguardo, l’esecuzione di “Dylan Thomas” dei Better Oblivion Community Center) ma che risulta sempre più che efficace.

Scaletta breve ma intensa, con buona parte dei brani dell’ultimo disco, tra cui quella “Bottom of the Barrel” ormai divenuta manifesto di un certo modo di concepire la musica, e alcune cose del repertorio precedente (“Macigno”, “Lei” e “Bandiera”, che dal vivo confermano tutto il loro potenziale). Ottima prestazione, con una resa sonora perfetta e davanti ad un pubblico attento, che ha dimostrato di apprezzare.

 

 

 

Photo credits Lowinsky: Annalisa Pinchetti

 

Alle 21.30 spaccate ecco i Nada Surf che, così, senza farsi mancare nulla, attaccano con “Inside of Love” e “Hi-Speed Soul”, giusto per mettere in chiaro di che cosa si stia parlando. Matthew Caws sfoggia un sorriso smagliante e guarda felice le persone delle prime file che scandiscono le parole dei ritornelli. È la fotografia migliore di una band innamorata della propria musica, che ancora oggi suona come se fosse il primo giorno e che concepisce i concerti come una grande occasione di festa.

La successiva “In Front of me Now” è un brano nuovo, introdotto dal cantante con un messaggio in italiano che spiega come sia una canzone che parla di multitasking, un’abitudine da cui sta cercando di liberarsi anche se, aggiunge ridendo, il testo lo ha scritto mentre guidava. È uno dei pezzi migliori di Moon Mirror, tirato e coinvolgente, con una melodia da infarto; non è un caso che i presenti (a proposito, il locale è pienissimo, a testimoniare di come il gruppo sia sempre stato molto amato dalle nostre parti) la cantino già come se fosse un vecchio classico.

Contrariamente a quanto accade di solito con band dal passato illustre, all’ultimo disco viene dedicato molto spazio (sette brani in tutto), a dimostrazione del fatto che non c’è nessun complesso di inferiorità nei confronti dei vecchi lavori. Del resto un pezzo come “Intel and Dreams” si mangia da solo almeno la metà dei brani di questo genere usciti nel corso dell’anno, ma anche “New Propeller”, “Second Skin”, “Open Seas” e “See These Bones” (che Matt racconta essere stata ispirata da una visita fatta in un ossario di una chiesa di Roma, presumo quella dell’Immacolata Concezione dei Cappuccini) non scherzano per niente.

La prestazione dei quattro è poi potente e priva di sbavature, col batterista Ira Elliot che pesta come un matto e col bassista Daniel Lorca che, al di là del contorno scenografico della sua proverbiale capigliatura rasta, suona che è una meraviglia, con linee ritmiche sempre molto fantasiose ed elaborate. Il tastierista Louie Lino è decisamente più compassato ma il suo ruolo è fondamentale a livello melodico, nel dare manforte alla chitarra di Matt.

Sul resto della scaletta poco da dire, i classici ci sono tutti, da “Killian’s Red” a “Fruit Fly” (ricomparsa dopo qualche data di assenza), da “Blonde on Blonde” a “So Much Love”, fino al primissimo singolo “The Plan”, con l’aggiunta di qualche ottimo episodio dal disco precedente, come l’autobiografica “Mathilda” (musicalmente tra le più articolate ed interessanti composte dal gruppo) e le anthemiche “Come Get Me” e “Looking for You”.

Spazio anche per un divertente aneddoto di Daniel sul loro primo concerto italiano, quando suonarono in un locale dove furono continuamente ostacolati rispetto ai volumi da tenere, per poi, una volta scesi dal palco, essere bombardati dagli Ac/Dc sparati altissimi dalle casse.

Finale splendido con una potentissima “Hyperspace”, prima dei bis obbligati con “Popular” e “Always Love”. “Blizzard of ‘77”, un altro dei loro pezzi simbolo, viene come al solito lasciata al solo Matt, che con chitarra acustica non amplificata la suona in una versione davvero commovente, coi suoi compagni che armonizzano la sua voce e il pubblico che canta all’unisono. Un momento splendido, ideale per chiudere un concerto da due ore che va dritto tra i più belli visti quest’anno.

Sono sempre stato allergico alla retorica del “quando i gruppi storici si ritireranno chi mai potrà prendere il loro posto?” ma in questo caso potrei anche dire che c’è del vero. Speriamo solo che rimangano a lungo tra noi.

 

 

 

Photo credits Nada Surf: Carola Mancassola