«Non credo affatto che il dialetto sia un limite ma anzi, un prezioso faro sull’identità». Affermazione lapidaria ma più che condivisibile, quella di Claudio Marongiu, fondatore e leader di Marongiu & I Sporcaccioni, che combinando ancora una volta rock-blues e dialetto "bisiacco" pubblicano con Boogie Records il terzo disco, l'atteso Mulo de paese. Atteso perchè giunto al culmine di un percorso di notevole attività in studio e dal vivo, di crescita musicale e di apprezzamenti da parte di pubblico e critica dopo i primi due dischi Una vita in panchina (2017) e Austria e puttane (2018). Anticipato dal singolo Isons, Mulo de paese conferma l'originalità del quintetto goriziano, che unisce humour e serietà, approccio dissacrante e consapevolezza musicale.
La peculiarità del rock di Marongiu & I Sporcaccioni è la scelta vernacolare. La band proviene dalla provincia di Gorizia, dall'insieme dei paesi costituenti la "bisiacaria", e la motivazione di Marongiu nell'unire rock e dialetto parte da lontano: «Sono stato un pessimo studente e i genitori mi hanno forzato ad accettare lavori di fatica che spesso non ero in grado di svolgere. Turnazioni notturne in una fabbrica di valvole, un’ altra di bulloni, brevi e disastrose parentesi nel mondo delle Poste, un po’ di tutto e molto male. Da questo marasma di esperienze però è nata un’ esigenza sincera di scrivere canzoni che non fossero né il solito diarietto da universitario al primo anno, né un’adesione faziosa al terribile mondo delle Pro Loco. In sostanza, avevo intuito di poter essere più credibile – e felice – urlando nel mio dialetto che in modalità espressive trite e alienate».
Mulo de paese rilancia dunque le canzoni apparentemente demenziali e sgangherate, in realtà efficaci nel fotografare la vita di provincia sulle rive dell'Isonzo e i personaggi che la animano, con una scelta di fondo: sonorità che partono dagli AC/DC e arrivano agli Skiantos, senza dimenticare la comunicazione più diretta. Ricorda Marongiu: «Scartabellando fra i cd in offerta al fu Mercatone Zeta, a quindici anni portai a casa Powerage degli AC/DC e tutto iniziò. Ero completamente estraneo a un certo senso di tragressione, a casa si ascoltava Radio Birikina, ma quel suono di chitarre grandissimo – nel senso di una vastità psicoacustica – che arrivava dall’Australia mi colpì al cuore. Ora però sto cercando di unire Radio Birikina con gli AC/DC, dire pop non è spregiativo ed apprendere che quel pop Italiano era confezionato benissimo e beneficiava di interpreti di altissima levatura è una piacevole riscoperta».
In studio di registrazione I Sporcaccioni hanno avuto collaborazioni importanti, da Franco Beat a Joe Perrino dei The Mellowtones, e in particolare Antonio Gramentieri, in arte Don Antonio. Il chitarrista, noto anche all'estero per il suo lavoro con Hugo Race, Howe Gelb, Alejandro Escovedo e Cesare Basile, ha prodotto anche i quattordici brani di questo terzo album: «Antonio è un generoso e gli piacciono le sfide, sicché penso che l’idea di prendere (nel caso nostro) un gruppo incompiuto – ma con una poetica e un potenziale a lui congeniali – e mettere le proprie conoscenze a disposizione del progetto, l’abbia in una certa misura divertito. Serba anche una visione pura della musica e dell’arte, sicché se ha detto di “sì” agli Sporcaccioni non l’ha fatto per questioni venali, così come da parte nostra non c’è stato alcun calcolo di sfruttamento della sua rotonda immagine. Ha riscattato la nostra piccola carriera e rilanciato un gruppo che nonostante si esibisse regolarmente da decenni, non era ancora riuscito a registrare un buon disco».