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Morto Stalin, se ne fa un altro
Armando Iannucci
COMMEDIA
all MAKING MOVIES
02/03/2018
Armando Iannucci
Morto Stalin, se ne fa un altro
Della Storia si può ridere, nonostante la Storia raccontata implichi morti a non finire, privazioni di libertà e eliminazioni sistematiche?

Si può tenere una lezione di storia divertente?
Della Storia si può ridere, nonostante la Storia raccontata implichi morti a non finire, privazioni di libertà e eliminazioni sistematiche?
Si può, se si ha l'estro e l'equilibrio giusto, si può se ci si chiama Armando Iannucci.
La mente dietro The Thick of It e al remake americano Veep, ha passato la cortina di ferro per raccontare i giorni tumultuosi prima e dopo la morte di Stalin.
Non ne esce una lezione di storia pesante né moralistica né buonista, ma una commedia che definire irriverente è dir poco, dissacrante e dallo humour quanto mai nero.
Una precisazione però va fatta: come quel titolo non certo riuscito che i soliti burloni dei titolisti italiani c'hanno propinato, il doppiaggio appiattisce i dialoghi e, soprattutto, fa delle colorite espressioni americane una serie di volgarità che in italiano continueranno di certo a stonare.
Detto questo, la morte di Stalin ce la si immagina come un momento critico della Russia, uno smacco improvviso o una macchinazione per rubare il potere. Invece, ci si trova di fronte a un collettivo che fa a gara per quel potere, che davanti al corpo esanime del dittatore aspetta di avere la maggioranza assoluta per poter chiamare un medico, con un vice chiamato a prendere decisioni (che non sa però decidersi), e viene influenzato non dal bene o dal male, ma dal male e dal “più male”.
Si osservano così i doppi giochi, i giochi dietro le quinte e i fili da muovere per conquistare quel popolo che si decima in base a liste approvate o meno, in base a decisioni dell'esercito, con nel mentre un funerale come si deve da organizzare, e un capo da trovare.
A giocarsi il ruolo, il timido e poco consono Malenkov, quella faccia tosta di Kruš?ëv, e il malvagio Berija, a capo di quella polizia che per anni ha fatto pulizia politica per le strade di Mosca e non solo.
Ne conseguono tentativi - riusciti o meno - di conquistare gli altri del collettivo, gare di dolore di fronte alla figlia di Stalin, con il tempo che corre e chiama a una decisione.
Riassunta così, questa storia e la Storia, sembrano il più classico degli scenari di fronte alla morte di un dittatore.
Raccontata da Iannucci assume invece i toni di una farsa, di una gara fatta di colpi bassi, di disorganizzazione, di sangue versato senza nemmeno una lacrima, nemmeno un cipiglio. Certo, quelle vittime – vere - imporrebbero il rispetto e l'indignazione, ma sono proprio i toni assurdi, dall'ironia taglientissima, a far riflettere ancor più su quell'assurdità che sembra impossibile e che, invece, è accaduta.
Il cast è di quelli da capogiro, anche per i personaggi minori, e si sfidano e si divertono Steve Buscemi, Simon Russell Beale, Paddy Considine, Michael Palin, Jeffrey Tambor, Rupert Friend, Andrea Riseborough a chi è più russo e a chi è più divertente, mentre le scene folli si sommano, tra quello Stalin in un tappeto fradicio commemorato da tutti e da tutti sbeffeggiato, a un teatro costretto a ripetere e svegliare nel cuore della notte un direttore d'orchestra per volere di un morto.
Insomma, strano, irriverente, dissacrante e scorrettissimo, si capisce bene come Morto Stalin non potesse essere ben visto nella Madre Russia, finendo bannato e censurato dai suoi cinema.
Per fortuna, però, qui lo si può guardare a cuor leggero, in quella leggerezza che tra una risata e l'altra, sa far riflettere, sa far drizzare le antenne. Ché del dolore, del nero e della Storia, si può ridere, perché ridendo in faccia a questi pericoli, facendoli diventare delle assurdità impossibili da credere, si può evitare il loro ripetersi.