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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
25/03/2025
Live Report
Moreish Idols + Suck + Lightspeed, 21/03/2025, Supersonic, Parigi
Come lasciarsi scappare un concerto dei Moreish Idols al Supersonic di Parigi, per di più gratuito? Impossibile, infatti (complice la fortuna di trovarsi già lì per altre ragioni) ci siamo andati. A supporto l'ottimo indie rock dei Lightspeed e il punk irruento dei tedeschi Suck. 300 posti, prima fila e quasi solo giovani. Ecco a voi il racconto di una notevole serata inattesa.

Ho appena scritto dei Moreish Idols (qui la recensione), una delle ultime scoperte della Speedy Wunderground di Dan Carey, e di come il loro disco d’esordio, All in the Game, mi avesse entusiasmato, una ventata fresca all’interno di un filone artistico divenuto negli ultimi anni parecchio stantio.

Immaginate dunque la mia sorpresa quando, pochi giorni prima di partire per Parigi, viaggio programmato da tempo per vedere Sturgill Simpson esibirsi a Le Trianon, ho scoperto che la band di Falmouth sarebbe stata in città la sera prima, oltretutto per un concerto gratuito. Non facilissimo da incastrare, causa orario di arrivo del volo e posizione scomoda del locale rispetto al mio albergo; l’occasione però è troppo ghiotta per lasciarsela scappare e così, armato di sana pazienza e aiutato da contingenze fortunate, riesco ad arrivare sul posto con una buona dose di anticipo.

 

Il Supersonic è un locale molto piccolo (non più di 300 posti, ad occhio) a pochi passi da Place de la Bastille, con il bar in fondo alla sala e una comoda balconata per chi volesse godersi il concerto fuori dalla calca. Il palco è piuttosto basso ma si riesce a vedere decentemente anche dalle ultime file, se si riesce ad evitare il fastidio di una colonna posta esattamente al centro, di fronte al mixer (ragion per cui, per sicurezza, mi sono posizionato in prima fila).

Nonostante siano da poco passate le 20, il posto è già quasi del tutto imballato, con un pubblico composto quasi esclusivamente da giovani e giovanissimi: che l’Italia sia il terzo mondo dal punto di vista musicale non lo si scopre certo oggi, ma ogniqualvolta mi tocca averne una dimostrazione pratica, lo shock è sempre lo stesso. Immaginate in quale improbabile scenario, nel nostro paese, si potrebbero radunare 300 persone (giovani, oltretutto!) per vedere tre band completamente sconosciute (non ho avuto segnali, nel corso della serata, che qualcuno dei presenti avesse familiarità col repertorio proposto), senza che si verifichi quel fenomeno tutto nostrano per cui tre quarti degli spettatori, quando ci sono, sono fuori a bere e di entrare a sentire la musica non ci pensano neppure. Non c’è nulla da fare, per uscire di casa scommettendo su un gruppo che non si è mai sentito nominare, occorre essere curiosi e appassionati e noi, mi spiace dirlo, gente curiosa e appassionata non ce l’abbiamo proprio (se non altro, non in numero tale da giustificare un investimento economico da parte dei promoter).

 

Tornando alla cronaca della serata, i primi a salire sul palco sono i belgi Lightspeed, che hanno all’attivo un solo EP, The Guest House, uscito lo scorso ottobre, anche se, a giudicare dal numero di pezzi inediti proposti, un nuovo lavoro potrebbe vedere la luce in tempi brevi. Personalmente, non li avevo mai sentiti nominare, ma mi è bastata la sola “Society’s Fixation Seeker” per rimanere conquistato. Stiamo parlando di un Indie Rock del tutto canonico, con diverse reminiscenze Brit ed una carica melodica notevole, con parecchi ritornelli decisamente indovinati che rapiscono già dal primo ascolto.

Dal vivo sono potenti quanto basta ma non troppo rumorosi, preferendo puntare sull’immediatezza delle composizioni. Non tutto funziona alla perfezione, ovvio, qua e là ci sono passaggi a vuoto che rivelano una certa scontatezza nelle soluzioni, ma in generale il set è frizzante e godibile. L’impressione è che il futuro disco d’esordio ci offrirà una visione più completa su di loro.

 

Secondi in line up arrivano i Suck, tedeschi di Kassel, nella zona di Amburgo. Contrariamente ai Lightspeed, il quartetto tedesco possiede già una discografia piuttosto corposa, con all’attivo un album, un live ed un EP, Gimme Gabba Gabba, uscito esattamente una settimana prima.

Con loro l’atmosfera cambia completamente: Punk irruento, figlio dei migliori Stooges, con quella carica Rock tipica dei Ramones (il titolo dell’EP e della canzone omonima costituisce un’indicazione evidente) e qualche scorribanda sporadica nei territori più oscuri e pesanti di Black Sabbath e affini.

Non irresistibili in quanto a capacità di scrittura (anche tenendo conto delle fisiologiche limitazioni del genere), sopperiscono tuttavia con una carica incendiaria che conquista tutti, tanto che dopo due o tre brani si scatenerà un pogo furibondo che durerà fino alla fine del concerto.

Ho scoperto poi che hanno aperto un intero tour di Amyl & The Sniffers e direi che, da quello che ho visto, se lo sono meritato. Per gli amanti del genere (io non lo sono di certo) sono un nome da tenere d’occhio con attenzione.

 

Ed ecco finalmente il momento dei Moreish Idols. La scelta di partire in quarta con “Railway”, piuttosto che con le suggestioni Alt Folk di “Ambergrin”, prima traccia del disco, fa capire molto delle intenzioni del quintetto britannico: volumi altissimi, suoni nel complesso molto più carichi che in studio, il loro approccio live è sicuramente più vicino al materiale dei due EP Float e Lock Eyes Collide, piuttosto che a quello più stilisticamente obliquo e variegato di All in the Game. Jude Lilley, uno dei due chitarristi e cantanti, imbraccia costantemente un’acustica, ma tale scelta non stempera quasi per nulla la potenza sonora che sprigionano, anche perché il batterista Sol Lamey è decisamente un portento, tra poliritmi ed accelerazioni indiavolate. Il sax di Dylan Humphreys rappresenta di sicuro una marcia in più, consente al suono del gruppo di sfociare nel Jazz più Freeform e rende ancora più emozionanti quei momenti in cui i nostri si allontanano dalla struttura della canzone per lasciarsi andare a divagazioni di enorme suggestione (le esecuzioni di “All in the Game” e “Dream Pixel” da questo punto di vista sono state pazzesche).

Pur essendo evidente che, per il ruolo che intendono recitare al momento, le composizioni più spinte siano quelle più adatte alla dimensione live (“Slouch” o le vecchie “Green Light” e “Chum” rendono davvero alla grande) anche quando si cimentano con episodi più pacati e vicini al Prog (“Pale Blue Dot”) il tiro non viene meno e l’esecuzione è decisamente più potente e aggressiva rispetto alla versione in studio.

Si è trattato in definitiva di un’esibizione più che convincente, 50 minuti senza respiro, con la padronanza del palco tipica delle band di questo filone (se dovessimo tentare dei paragoni, direi che gli Squid sono quelli a cui assomigliano di più, per feeling ed attitudine) ma con un guizzo in più in termini di scrittura, che potrebbe renderli un fenomeno a parte, se sapranno crescere ed evolversi su questi livelli.

L’augurio è di poterli vedere presto anche in Italia anche se, conoscendo i nostri connazionali, bisognerà attendere che diventino molto più conosciuti di quanto lo siano ora…