Siamo in un periodo storico che, musicalmente parlando, trovo davvero prolifico e interessante: da un lato le etichette discografiche stanno pubblicando una quantità di dischi esorbitante, tale da perdercisi; dall’altro si sta assistendo ad una nuova evoluzione della musica italiana che, ormai da almeno due anni, ammicca sempre di più all’elettronica.
In questo panorama anche il sottobosco di artisti davvero indipendenti, cioè senza etichetta, è davvero in fermento anche se rimane il fatto che oggi, come ieri, riuscire ad emergere e farsi notare è davvero difficile. Eppure, questi spesso hanno una freschezza, una spontaneità e una capacità di descrivere la realtà uniche e schiette, oltre che non influenzate dalle dinamiche delle label.
Ecco, è da questo grande calderone di artisti che, quasi per caso, ho incontrato iBambìna e la loro prima pubblicazione, Moquette. La band è nata a Monza, nel dicembre 2020, formata da Pier Bàmbina (voce, synth e chitarra acustica), Francesco Farina (chitarre), Francesco ‘Sbre’ Ravasio (basso, synth) ed Emiliano Cava (batteria e percussioni). Si sono autoprodotti il disco e se lo sono pure pubblicati, sempre in totale autonomia. Un’azione sempre molto coraggiosa, che sarebbe fine a sé stessa se non avessero qualcosa di interessante da dire, e loro ce l’hanno.
Musicalmente parlando colpiscono perché, sebbene non abbiano inventato nulla di nuovo, sono riusciti a creare un mix molto equilibrato di sonorità: da un lato un’elettronica molto anni ’80, simile a quella usata da artisti come di Colapesce o gli Exotago, ma sostenuta da una batteria e un basso che tirano di brutto, dall’inizio alla fine dell’EP (basti pensare al groove creato dal basso e dalla batteria in “Siamo soli dentro questa stanza”). Dall’altro la chitarra elettrica di Francesco Farina, che ha un ruolo di primo piano nel creare l’alchimia del disco, a volte creando sonorità che diventano protagoniste, come in “Cinico”, in “Siamo soli dentro questa stanza” dove è protagonista con riff funky davvero travolgenti, o come in “Ninna nanna al figlio che verrà” dove rimane dapprima dietro le quinte per poi emergere, per poi emergere con dei riff presi da mondi sonori molto diversi.
Tutti questi elementi sono parte della colonna vertebrale di Moquette, ma la cosa ancora più interessante è che non sono mai predominanti: né l’uno sull’altro, né sulla voce e sul testo. Infatti, forse è questo l’ultimo e il vero protagonista di questo EP: la voce di Pier Bàmbina e ciò che racconta.
I testi infatti fanno la parte del leone, Pier Bàmbina ha un modo di raccontare le sue esperienze e, soprattutto, le sue ferite che è in un particolare equilibrio tra l’asciutto e il poetico, senza mai essere banale. I brani sono stati puliti da tutti i fronzoli e si è ricercata la pura essenzialità in ciò che viene raccontato; un bilanciamento non semplice, soprattutto quando si tratta di cose dolorose. Il viaggio attraverso le esperienze del disco è equiparabile ad un sorso di Moscow Mule: fresco a principio, secco alla fine, dove l’essenzialità del linguaggio aiuta ampiamente l’immedesimazione, sia nelle esperienze positive che in quelle negative.
La scoperta di questa nuova realtà è qualcosa di cui essere grati e che porta con sé il desiderio di voler sentire di più, ascoltare qualcosa di nuovo ancora, nella speranza che, in questo mercato sempre più affollato, anche il materiale che verrà abbia lo stesso stile che li contraddistingue: una miscela di elementi da non perdere.