I Mooon sono tre ragazzi olandesi, Gijs, Tom e Timo, rispettivamente fratelli e cugino, tutti e tre giovanissimi, che al momento ritengo possano considerarsi uno dei gruppi di punta della scena neo (neo) sixties europea. Infatti, a dispetto della “verde” età anagrafica, la band ha già pubblicato tre LP: Mooon’s Brew, Safari e l'ultimo III, nonché qualche manciata di 45 giri.
Il loro concerto è stato aperto da due band italiane: The Brightest Room, l'ultima creatura di Valerio Ellea Frezza, instancabile agitatore della scena musicale meneghina delle ultime decadi (e autore altresì della fanzine e gruppo Facebook Drynamil, alla cui interessante lettura rimando gli interessati), autori nel 2024 del loro terzo omonimo album, e dai Backdoor Society, gruppo piacentino che ho avuto il piacere di intervistare e conoscere in un precedente concerto (live report e intervista qui).
Veniamo quindi al concerto dei Mooon: la set list proposta, compresi di tre richiestissimi encore, si è svolta su una scaletta di circa 20 brani, la cui maggior parte è risultata essere la riproposizione delle canzoni contenute nel loro ultimo album III e di alcune del precedente album Safari.
Come ho già (brevemente) scritto nella recensione del loro ultimo 45 giri sulla rubrica Spigolature (vedasi qui) risulta stupefacente - tenuto conto dell’età anagrafica di questi tre ragazzi - la sapiente amalgama di sonorità beat, R&B e psichedelia, che risulta vieppiù accentuata dall’accurato abbigliamento vintage sfoggiato dai tre, nonché dalla strumentazione usata; continuo a ritenere i bassi VOX in scala ridotta bellissimi, col quel suono “secco” che si sposa a perfezione col genere proposto.
Dal vivo i brani, pur nei limiti della dimensione live, grazie soprattutto alla valenza chitarrista di Timo non perdono nulla della caratura delle loro incisioni. Anzi, la presenza live mi ha permesso, ad esempio, di capire con maggiore evidenza una delle loro peculiarità: come i tre a turno siamo rispettivamente lead vocal e backing vocals dei brani che vanno a proporre. L’impasto delle voci è difatti un loro cavallo di battaglia, fortemente memore della tradizione musicale sixties, di cui risultano tra gli attuali migliori epigoni.
Altra caratteristica che emerge dal vivo è il susseguirsi di cambi tempo e di stop & go all’interno dello stesso pezzo, come si può ascoltare molto bene in "Rainbow Flowers", il secondo brano presentato dopo l’introduttiva e trascinante "I will get to you", che ha permesso alla platea presente di immergersi immediatamente nel mood del gruppo olandese.
Successivamente si è passati all’esecuzione di due brani presenti nel precedente Safari, rispettivamente la track 2 e 3 del primo lato, ovvero "Leaving Town" e "All By Myself". Dopo, in rapida successione, il gruppo ha eseguito "How I learned (to say goodbye)", lato B dell’ultimo singolo pubblicato e, come sopra richiamato, recensito dallo scrivente.
La parte centrale del concerto ha visto la presentazione di una nuova canzone e della cover di "See Emily Play" dei Pink Floyd, brano scritto da Syd Barrett nel 1967 e uscito come singolo per poi confluire, se non erro, nella versione US del primo album della band, The piper ad the gates of dawn (ecco una delle ragioni per cui i collezionisti della musica di quell’epoca vanno alla caccia “disperata” delle varie edizioni pubblicate nei diversi paesi) e la doorsiana "Buy me a smile". Nel mezzo del revival e della presentazione delle cover emerge anche il ritornello di "Gloria", hit dei Them, gruppo in cui debuttò Van Morrison.
La parte finale del concerto inizia con un altro pezzo presente in III, "Richard has a racecar", seguito da "Alcohol", brano presente nel primo album del gruppo, e dalla bellissima "G.A.S.", chiudendosi con "Outro" da Safari. A grande richiesta del pubblico i Mooon hanno poi presentato tre encore, tra cui "Mary you wanna", a parere dello scrivente probabilmente una delle migliori canzoni dell’album di esordio Mooon’s Brew.
E proprio in merito al pubblico chiudiamo con una nota dolce e amara: davanti alla palestra Visconti abbastanza gremita di persone, cade subito l'occhio sulla diversità anagrafica tra i tre ragazzi olandesi e il pubblico: mentre i primi sono poco più che ventenni, nel pubblico fatico a trovare persone che siano di età inferiore agli anta.
Arrivando al Bellezza ero stato tratto in inganno dalla presenza di numerosissimi giovani, per poi scoprire che erano lì per il coevo concerto di Siboje dj… La domanda, quindi, sorge spontanea: questa musica è veramente destinata ad essere un revival solo, non per chi l'abbia vissuta negli anni '60, ma per chi l'ha vissuta nel primo revival psichedelico degli anni '80?
Ai posteri (ma vedendo l’uditorio temo possa essere solo una questione retorica) lasciamo aperta la domanda.