A partire dai primi anni Duemila la carriera di Kristin Hersh ha iniziato a vivere una fase decisamente abbondante dal punto di vista creativo, ma anche piuttosto confusionaria per quanto riguarda l’itinerario parallelo dei suoi tre progetti: distinguere tra le uscite soliste, quelle a nome Throwing Muses, nonché quelle dei 50FootWave, il trio formato assieme a Bernard Georges e Rob Ahlers, sta divenendo sempre più difficile. C’è infatti sempre lei al centro della scrittura, così che l’impressione è che di volta in volta scelga il monicker sotto cui pubblicare nuova musica, a seconda degli umori e delle suggestioni del momento.
Il suo ultimo lavoro da solista, Clear Pond Road, è uscito nel 2023 e per promuoverlo è anche passata dall’Italia (l’abbiamo ammirata lo scorso aprile all’Arci Bellezza di Milano - qui il nostro live report). Adesso ha invece deciso di risuscitare i Throwing Muses, il cui ultimo album, Sun Racket, risale al 2020.
Ad ascoltare Moonlight Concessions, tuttavia, risulta piuttosto ostico tracciare confini netti e definiti tra le varie proposte: si tratta infatti di nove canzoni totalmente acustiche, ben lontane dall’impatto del potente Power Trio che costituisce la formazione più recente della band, e più in linea col repertorio della sua leader, al punto che in non pochi momenti sembra addirittura di avere a che fare con delle outtake del disco precedente.
Si tratta di un elemento da un certo punto di vista inevitabile, considerato che è sempre la stessa Hersh a scrivere i pezzi; ad un ascolto più attento, però, le cose si fanno più complesse: la chitarra incalzante di “Summer of Love”, un brano dall’incedere nervoso, oppure la voce graffiante, dalle melodie di stampo Grunge, della ben più funerea “South Coast”, o ancora le svisate Punk acustiche di “Libretto” e “Albatross”, ci parlano di un lavoro dove l’anima più sporca ed elettrica della band riesce ugualmente ad emergere, canzoni che, con un arrangiamento più rumoroso, si muoverebbero senza troppi problemi nel solco del passato del gruppo.
Prodotto da Kristin Hersh assieme al batterista David Narcizo, e registrato allo Stable Sound Studio, in Rhode Island, Moonlight Concessions è, nella sua concisione, uno dei dischi più ispirati e convincenti nella carriera dei Throwing Muses. Risulta chiaramente impossibile operare confronti con la primissima fase, quella con Tanya Donnelly, che ci ha regalato lavori seminali come Hunkpapa o l’omonimo debutto del 1986; detto questo, si tratta di un album che colpisce per la coesione della sua scrittura, per il feeling di inquietudine e l’atmosfera cupa che vi si respira, per una performance vocale davvero intensa e sincera, nonché per un gioco di strumenti minimale ma dannatamente efficace, dove spicca lo splendido violoncello di Pete Harvey, magistrale nel riempire le tessiture ritmiche e nel generare insperate aperture melodiche.
Nota di merito anche per i testi, su cui la Hersh, che è anche scrittrice di talento, ha sempre investito molto. Come al solito siamo di fronte a frammenti stilizzati di una quotidianità disadorna, echi di storie di personaggi alle prese con la difficoltà dell’esistere, vicende che non riusciamo mai ad afferrare pienamente, anche se certe istantanee di amarezza quasi carveriana sono difficili da dimenticare (“Gonna start sleeping at home, under the gaze of the dude on the roof with a shotgun”, canta in “Sally’s Beauty”, uno dei pezzi più lenti e strascicati; oppure, nell’intenso stream of consciousness di “You’re Clouds”: “Maybe something Andrea said every promise empty. Our friends come back from the dead and we die happy”.
Probabilmente è troppo tardi per recitare una parte da protagonisti (la title track, fosse uscita ai tempi dell’esplosione del Grunge, avrebbe avuto molte possibilità di divenire una hit) ma il candore senza tempo di questi brani è un qualcosa che da solo basta a smentire il fatto che la musica indipendente stia vivendo un’epoca di crisi.
Li aspettiamo dal vivo per completare l’opera.