Alle grandi capacità di messa in scena in economia che si possono riconoscere al regista, insieme a indubbia passione, capacità narrative e ottime doti di direzione d'attore (uno solo, praticamente qui c'è sempre e solo Sam Rockwell), si contrappone la necessità di smorzare almeno in parte alcuni entusiasmi sproporzionati che parte della critica spese per il film ai tempi della sua uscita. Moon è un bel film di fantascienza umanistica, interessato più al lato psicologico, ai pensieri e ai sentimenti del suo protagonista, alle reazioni dello stesso di fronte alle rivelazioni che si troverà a dover fronteggiare, che non alle situazioni scientifiche che qui sono presto spiegate e delineate con poche battute. Nulla di male in questo, anzi, spesso l'introspezione porta a riflessioni e spunti d'interesse decisamente maggiori rispetto ad altre declinazioni del fantastico, c'è anche da dire che a parte qualche interessante ribaltamento rispetto alle sue fonti d'ispirazione, Moon non è certo un'opera rivoluzionaria, nemmeno sul versante psicologico che più gli sta a cuore, attestandosi in definitiva sulla scia degli illustri predecessori dei quali il film di Jones è comunque un sentito e riuscito omaggio.
È, ancora una volta, la disillusione del sogno, e se non è quello americano può essere quello di un uomo o quello di tutta un'umanità, quella composta da noi spettatori. L'uomo conquista definitivamente la Luna, il nostro satellite diventa risorsa da sfruttare, bieco mezzo per il solito fine energetico, consumistico, economico, in barba a tutti i romantici che ancora guardano sognanti il tondo luminoso con il naso all'insù. Sam Bell (Sam Rockwell) sta per finire la sua ferma di tre anni sulla stazione lunare nei pressi della quale l'azienda Lunar Industries estrae elio 3. Sam è solo sulla stazione, ogni giorno la solita routine: il recupero dei contenitori di elio quando gli estrattori automatici hanno finito il lavoro, l'invio della risorsa sulla Terra e poi tutto da capo. A fargli compagnia solo il computer Gerty che non ha nemmeno sembianze antropomorfe, anzi, ha un design decisamente vecchio stile (come tutta la scenografia del film, molto indovinata); dopo quasi tre anni passati in solitudine Sam inizia a perdere qualche colpo. In seguito a un incidente occorsogli, la Lunar avvierà un processo per lei consolidato e consueto e Sam, ripresosi dall'incidente, si troverà a fare i conti con... Sam!
Duncan Jones, cresciuto con tutta probabilità con i brani spaziali del padre in heavy rotation nelle orecchie, mostra per il genere un affetto sincero e ottima conoscenza, instaura un proficuo e mutualistico connubio con Sam Rockwell che può giovare di questo ruolo da protagonista unico e assoluto restituendo a Jones un'interpretazione superba, lontana dagli eccessi di stile che spesso lo contraddistinguono. L'uomo è qui vittima del lavoro, dell'industria, e diventa (o meglio ancora, si conferma) pura merce - pare si dica risorsa - a uso e consumo di chi davvero trae benefici dal sistema del capitale; disumanizzato Sam si trova a chiedersi chi davvero egli sia e dovrà (dovranno) compiere un lavoro incredibile su sé stesso per trovare senso e ruolo in un'esistenza nella quale si scopre puro mezzo per un fine, accantonabile, sostituibile, sacrificabile. Duncan Jones sposta riflessioni purtroppo note e attuali dalla Terra alla Luna, compie un piccolo miracolo per messa in scena e riuscita d'insieme, budget risicato, minima spesa e massima resa, Moon sa di ritorno ai luoghi della fantascienza di qualche anno fa, con tutto quel bianco, con quel computer come unica compagnia e che ci riserverà qualche piccola sorpresa sul finale. Moon difficilmente non piacerà a chi ama la fantascienza, tutti gli elementi sono al posto giusto, per chi scrive paga un po' le alte aspettative mosse da una critica entusiastica, ad ogni modo Moon vale il viaggio sulla Luna, un viaggio da cui torneremo con la rinnovata consapevolezza della nostra incapacità al miglioramento.