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REVIEWSLE RECENSIONI
07/11/2024
Nada Surf
Moon Mirror
Dopo quattro anni di silenzio, i newyorkesi Nada Surf tornano con quello che è il loro miglior disco dai tempi del celebrato Let Go.

I newyorkesi Nada Surf sono come vecchi amici con cui si sono condivisi splendidi ricordi, magari non li incontri tanto spesso, ma quando succede è sempre una festa. Sono passati ben trent’anni da quando la band pubblicò il loro singolo di debutto, "The Plan/Telescope", e oggi, freschi di un nuovo contratto con la New West, i Nada Surf escono con Moon Mirror, che arriva a colmare uno iato lungo ben quattro anni, l’intervallo più lungo fatto passare dal gruppo fra un album e un altro.

La band capitanata da Matthew Caws ha già alle spalle dieci full length e, a ben vedere, non ha mai tradito le aspettative, anche se non ha più raggiunto le vette di bellezza quasi inarrivabile del loro iconico Let Go (2002), uno dei dischi più significativi dell’indie rock del nuovo millennio.

Ho scritto “quasi”, perché Moon Mirror si avvicina molto per livello d’ispirazione a quel piccolo gioiello melodico, risalente ormai a due decenni fa. Artefici di un power pop con le chitarre in resta, i Nada Surf inanellano nel nuovo album un filotto di undici canzoni che, per quanto si possano cogliere echi dai Byrds, Teenage Fanclub e Lemonheads, posseggono (ormai da tempo) uno stile immediatamente riconoscibile: riff croccanti, un impetuoso surplus di decibel, doppio tracciamento vocale, melodie uncinanti e, soprattutto, il fil rouge di una vena malinconica da fine estate, spesso sotto traccia, talvolta, invece, vero mood trainante delle canzoni.

Una scaletta altalenante, dunque, che offre momenti di pura ed energica gioia, ad altri più intimi e meditabondi. Il singolo "Second Skin" apre il disco come un giocoso soffio di vento fra i capelli, una galoppata in pieno sole che evoca la California e non certo la natia New York, a cui segue "In Front Me Now", ancora più vivace, ancora più allegra, trainata da un riff che non può fa a meno di richiamare alla mente i leggendari Byrds.

Di fronte a tanto debordante surplus elettrico, l’album, poi, rallenta il passo con momenti più morbidi: la title track è un perfetto esempio di come allegrezza e sottofondo malinconico possano convivere in un connubio perfetto, attraverso testi traboccanti di speranza e figli di uno stato mentale positivo ("Make me an engine, A part of Something Something, Moon Mirror, Highways of Hope, Moon Mirror"), così come avviene anche nella successiva "Losing", una canzone che riflette su come il tempo che passa sottragga alla vita amici, amori, e occasioni, andate tutte irrimediabilmente perdute, nonostante, però, la melodia sia attraversata da un vento caldo pregno di sentori di speranza.

Più propriamente malinconica, almeno nell’impianto sonoro, è "New Propeller", un brano scritto molti anni fa, quando Trump era candidato alla presidenza. La canzone si apre con i versi minacciosi "C'è una nuova elica, che agita i nostri giorni, c'è un vortice che gira, che scava le nostre tombe", ma poi il ritornello offre uno sguardo ottimista, quando Caws canta: "Non aver paura, non sarai sostituito, Non aver paura, non sarai cancellato". Un brano struggente, una canzone che suona Coldplay, anche se i Coldplay non riusciranno mai più a scriverne una uguale, e che, seppur motivata da ragioni politiche, si sviluppa anche come un inno alla resistenza in questi giorni oscuri, un invito a prendere coscienza della propria unicità umana, che la globalizzazione non potrà mai cancellare. Ed è questo, probabilmente il senso nascosto di un disco che se anche non lo esplicita continuamente, ha come tema principale il desiderio di accettazione di se stessi e la necessità di staccare la spina da un mondo sempre più connesso, ma allo stesso tempo sempre più distante dalla nostra anima.

E se "Open Seas" suona come una corsa a perdifiato sulla spiaggia, mentre il mare accarezza la sabbia e il sole le membra sudate, la nostalgica "Floater" chiude, con un tocco di “fluttuante” e morbida psichedelia, quello che, a parere di chi scrive, è il miglior album dei Nada Surf degli ultimi vent’anni, tanto da poter essere accostato, senza sfigurare, al celebrato Let Go.