Arrivano dall’Islanda, piccola terra di grandi musicisti (Olafur Arnalds, Sigur Ros, Bjork, Of Monsters And Men, Johann Johannson) e ci portano in dono uno dei dischi rock più belli dell’anno. Si chiamano Vintage Caravan, un nome che esplicita al meglio la passione della band per il classic rock, si sono formati in un sobborgo vicino alla capitale, Reykjavik, e hanno rilasciato a tutt’oggi cinque album. Una carriera in crescendo, che li ha portati a condividere il palco con gli Opeth, e li ha visti migliorarsi, disco dopo disco, sia da un punto tecnico che compositivo.
Monuments, registrato tra il febbraio e il marzo del 2020, è il punto più alto della loro discografia, un lavoro solido e complesso, meno pesante e monolitico rispetto ai precedenti, e zeppo di idee e di intuizioni, che rigenerano con fantasia sonorità nate decenni fa. Le undici canzoni in scaletta, infatti, frullano, con inusitata sapienza, hard rock di matrice ’60 e ’70, stoner, blues, psych rock e progressive, riuscendo, a dispetto, di miriadi di citazioni, a risultare assai originali. I tre componenti (Oskar Logi Agustsson, chitarra e voce, Alexander Orn Numason, basso e tastiere, e Sefan Ari Stefansson, batteria e tastiere), poi, suonano benissimo e, soprattutto, amano suonare, con attitudine jammistica e una predisposizione a lunghe digressioni strumentali imparentate con il prog rock. E’ soprattutto, però, quando spingono il piede sull’acceleratore e partono di slancio che diventano devastanti, e mai aggettivo, vi assicuro, si sposa meglio con la maggior parte dei brani del lotto.
Conduce le danze la chitarra di Agustsson, come appare fin da subito evidente con l’incipit Whispers, tonitruante apertura dagli oscuri echi sabbathiani. Ed è solo il primo dei molti volti dei Vintage Caravan che, con la successiva Crystallized, ci portano alla fine degli anni ’60, evocando i Cream più rumorosi, in un tripudio di chitarre in acido corroborate da un riff di saltellante funk ed esaltate da una infuocata digressione jam.
Can’t Get You Of My Mind spinge improvvisamente il disco verso un tiro deliziosamente radiofonico, ammicca ai Blue Oyster Cult con un ritornello che è uno schianto e che si manda a memoria fin dal primo ascolto. Un arpeggio morbidissimo apre Dark Times, che poi parte a cento allora, come una galoppata in stile Iron Maiden, che rifiata dentro un ritornello di arioso space rock. Se This One’s For You rallenta il passo in una ballata sfiorata da carezzevole psichedelia, Forgotten, cuore pulsante del disco, forgia otto minuti di devastante potenza, che partono con la forsennata rincorsa rubata a Highway Star dei Deep Purple, si misurano con la velocita convulsa Heart Of The Sunrise degli Yes e sfociano in un ritornello irresistibile, per poi deragliare nella seconda parte, in cui gli strumenti galoppano sbrigliati su coordinate progressive.
Monuments è un disco che non ti molla mai, che ti sorprende a ogni nuova canzone, tenendo desta l’attenzione e alto il livello di adrenalina nel sangue. Così, dopo un brano immenso come Forgotten, non ti aspetti un altro gioiello come Sharp Teeth, ipervelocità funk e architettura prog, in cui tecnica e sudore sfociano nell’ennesimo deragliamento jam, o l’epos da capelli al vento di Hell, canzone che regala momenti melodici irresistibili, grazie anche alla voce limpida e avvolgente di Agustsson. Altri due brani tiratissimi (Torn In Two e Said & Done), prima della sublime chiosa di Clarity, lenta ballata di otto minuti che procede per accumulo, fino all’esplosione del finale, incendiato da un grande assolo di chitarra di Agustsson.
Il disco dura un’ora abbondante, ma quasi non ci accorge del tempo che passa, perché non c’è un solo momento in scaletta che non sia necessario ed entusiasmante. Questi ragazzi possiedono una potenza d’urto che ha pochi eguali, e che affascina e stupisce soprattutto nel momento in cui ti ricordi che il ribollente magma sonoro di Monuments è creato con solo tre strumenti. Retrò, certo, lo dice anche il nome, ma incredibilmente moderni e freschi, i Vintage Caravan sono, a parere di chi scrive, una delle migliori rock band in circolazione, il cui destino è dare nuovo lustro e vitalità a un genere dato, troppo spesso, per morto.