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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/06/2023
Live Report
Molchat Doma, 07/06/2023, Circolo Magnolia, Milano
I Molchat Doma dal vivo sono pazzeschi. Synth, batteria rigorosamente elettronica, chitarra, basso e voce di Egor Sutko, baritonale ed estremamente affascinante. Grandi canzoni Cold Wave e New Wave, datate ma perennemente attuali, dotate sempre di hook e melodie irresistibili. Il live al Circolo Magnolia è stato stupendo, per una band che merita tutto il successo che sta ottenendo in giro per il mondo.

Quella dei Molchat Doma è una vicenda davvero interessante. Non ne avevo mai sentito parlare prima del febbraio del 2020: in quei giorni il Covid era già una preoccupazione per tutti ma non era ancora sbarcato a Codogno, per cui ancora non si parlava apertamente di chiusure generalizzate; anche la musica dal vivo, di conseguenza, continuava indisturbata la propria esistenza, anche programmando date per il futuro. Stavo intervistando telefonicamente i Submeet, un’ottima band mantovana in bilico tra Post Punk e Industrial, una proposta per certi versi simile a quella dei canadesi Preoccupations. Eravamo alla fine, stavo chiedendo loro quali sarebbero stati i prossimi appuntamenti live, e mi dissero che il 20 febbraio avrebbero suonato a Parma, in apertura ai Molchat Doma. Ecco, quello fu esattamente il primo momento in cui sentii parlare del trio bielorusso. Che aveva, occorre dirlo, già due dischi all’attivo, e cominciava a mietere consensi in giro per l’Europa.

Quel concerto si fece (l’attività live in Italia sarebbe stata sospesa solo la settimana successiva) ma io mi avvicinai a quella band solo a novembre, quando uscì il loro terzo lavoro, Monument, il primo con un titolo in inglese, il primo con i titoli delle canzoni anche in versione traslitterata, segno evidente dell’ambizione a sfondare in ambito internazionale.

 

I Molchat Doma infatti vengono da Minsk, capitale di un paese da tempo considerato “l’ultima dittatura d’Europa”, il cui ruolo si è fatto nell’ultimo anno ancora più controverso, visto il sostegno dato alla Russia nella sua guerra contro l’Ucraina. Il gruppo non ha mai peraltro rilasciato dichiarazioni politiche, neppure prima del conflitto: ricordo ad esempio un’intervista su Rumore in cui, ad una specifica domanda sul governo di Lukashenko, si sono rifiutati di rispondere.

Da questo punto di vista è interessante che, in tempo di russofobia e di boicottaggi culturali e sportivi alquanto discutibili, l’attività live del trio non sia stata minimamente toccata: dopo Monument per loro si sono aperte le porte dei principali festival europei e una lunga serie di date da headliner sia nel vecchio che nel nuovo continente, oltre addirittura all’Australia, paese che visiteranno proprio nei prossimi giorni.

La verità infatti è che Egor Sutko, Roman Komogorcev e Pavel Kozlov hanno raggiunto un livello di popolarità impensabile per un gruppo che canta in russo. Ancora di più, sono i giovani e i giovanissimi ad esserne stati conquistati per una gran parte. Lo si era visto al TOdays Festival dello scorso anno, quando si esibirono sotto una pioggia torrenziale e ciononostante tutti rimasero ai loro posti a ballare; lo si è visto l’altra sera al Circolo Magnolia, prima data della rassegna Unaltrofestival, che quest’anno è ritornata anche se in forma ridotta (un solo act a serata) e spalmata su settimane differenti.

Affluenza considerevole, tanti giovani, tante magliette col loro logo in cirillico, oltre alle immancabili a tema Unknown Pleasures, tanti ragazzi e soprattutto una partecipazione molto più che entusiasta, coi primi boati che hanno echeggiato già prima dell’inizio, mentre i tecnici si aggiravano sul palco a sistemare gli ultimi dettagli. Una festa vera e propria, nonostante le atmosfere gelide e a tratti funeree evocate dalla loro musica: balli, battimani, singalong su tutti i temi di Synth più orecchiabili, pogo e addirittura qualche ritornello cantato a squarciagola, nonostante la insormontabile barriera linguistica.  

 

Perché tutto questo? Quali i fattori alla base di un tale entusiasmo? C’entra sicuramente l’immaginario sovietico evocato dalle musiche e dalle copertine; si tratta di un elemento di retromania che negli ultimi anni sta funzionando benissimo, basti vedere il successo straordinario di un film non più recentissimo come Goodbye Lenin (Wolfgang Becker, 2003) o l’hype pazzesco generato dal museo della DDR a Berlino, uno dei più gettonati della capitale tedesca.

C’è poi l’indubbio fascino “esotico” del sentir cantare in una lingua sconosciuta, così lontana sia dall’italiano che dall’inglese (stesso fattore che ha visto, negli anni, il successo di gruppi come Orphaned Land o Tinariwen), e poi la proposta musicale in sé, perché Cold Wave e New Wave funzionano sempre, c’è il paradosso che suonano datate ma allo stesso tempo perennemente attuali, e anche da noi radunano molto più pubblico di altri generi.

Infine, ed è probabilmente il dato più importante, i Molchat Doma scrivono grandi canzoni, stilisticamente poco variate, ma dotate sempre di hook e melodie irresistibili, cavalcate spettrali e tenebrose che sono però in possesso di una scintillante anima Pop.

E poi dal vivo sono pazzeschi. Pochissimi ingredienti: Synth, batteria rigorosamente elettronica, un buon numero di suoni in base, una chitarra e un basso a volte presenti assieme, a volte no, una voce, quella di Egor Sutko, baritonale ed estremamente affascinante.

Con tutto questo danno vita ad uno spettacolo altamente coinvolgente, con la Drum Machine che detta il ritmo in maniera implacabile e gli altri che la seguono, tenendo sempre alto il tiro, salvo quando l’atmosfera si stempera in ballate suadenti ma allo stesso tempo scure e impenetrabili.

 

Complice anche il look datato (la canottiera e le bretelle indossate da Sutko, oltre alla sua pettinatura da metallaro anni ’80 sono un marchio di fabbrica indelebile), per un’ora e mezza sembra di stare in un club di Praga negli ultimi anni della Cortina di ferro; e l’impressione, oltretutto, è che se alcuni di questi brani fossero stati scritti ad inizio anni ’80, sarebbero diventate delle hit mastodontiche.

Un brano dopo l’altro, il concerto va avanti incessante, i vari episodi intervallati solo dagli “Spasiba” di Egor e da efficaci interludi strumentali che preparano gradualmente il terreno per quello che verrà dopo.

La setlist è un efficace mix dei tre dischi pubblicati finora (con una leggera preponderanza del sophomore Étazi) ma ci sono anche un paio di inediti, che al primo ascolto confermano l’ottimo livello della scrittura della band e rassicurano sulla qualità del prossimo disco. I brani più belli ci sono tutti tranne “Ya Ne Kommunist”, inspiegabilmente non eseguita, con l’intensità che raggiunge il suo culmine nel finale, con l’ossessivo incalzare di “Tantsevat’”, il ritmo scatenato e quasi gioioso di “Diskoteka”, per terminare con l’irresistibile linea di Synth di “Na Dne”.

Sembra finita ma i tre ritornano per gli immancabili bis:  “Kletka”, lenta e in forte odore di Joy Division, nonché il martellamento elettronico di “Sudno (Boris Ryzhyi)”.

Un concerto stupendo, per una band retro ma intelligente, che merita tutto il successo che sta ottenendo in giro per il mondo.

 

Photo credits: Laura Floreani