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REVIEWSLE RECENSIONI
Misplaced Childhood (Deluxe Edition)
Marillion
2017  (Parlophone)
PROGRESSIVE CLASSIC ROCK
8,5/10
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04/01/2018
Marillion
Misplaced Childhood (Deluxe Edition)
Credo sia giunto il momento di mettere da parte certi snobismi da reduci mentalmente atrofizzati dei Settanta e ammettere che Misplaced Childhood rimane non solo il capolavoro assoluto dei cinque scozzesi, bensì una delle pietre miliari indiscusse della musica pop progressiva di ogni epoca. Con buona pace di chi ancora li considera, scioccamente, una brutta copia dei Genesis.

Nel 1985 i Marillion erano quanto di più demodé si potesse immaginare, figuriamoci un concept album – che addirittura riprendeva e ampliava il filo conduttore dei due lavori antecedenti – incentrato su una storia d’amore che cade a pezzi, abuso di alcol e stupefacenti, visioni lisergiche e allo stesso tempo cariche di romanticismo, arrangiamenti ricercati al limite del barocco, tempi dispari, assoli superbi, melodie magnifiche (è l’album di “Kayleigh”, di “Lavender”, di “Childhoods End?”), rimandi interni sia testuali che sonori; il tutto senza soluzione di continuità, come nella miglior tradizione progressive del decennio precedente. Contro tutto e tutti il successo fu clamoroso.

Vi chiedo un po’ di pazienza: proviamo a fare mente locale e cerchiamo, elencando semplicemente alcune delle più importanti uscite discografiche di quell’anno (sia mainstream sia indie) di inquadrare brevemente l’epoca, in modo che il lettore più giovane possa farsi un’idea di quanto improbabile, fuori tempo e, per molti, arcaico, potesse essere un disco come Misplaced Childhood[1]. Nel 1985 vengono rilasciati il multimilionario No Jacked Required di Phil Collins, il seminale New Day Rising degli Hüsker Dü, Meat Is Murder degli Smiths, Songs From The Big Chair dei Tears For Fears, First And Last And Always dei Sisters Of Mercy, Bad Moon Rising dei Sonic Youth, Hell Awaits degli Slayer, Around The World In A Day di Prince, Our Favourite Shop degli Style Council, Brothers In Arms dei Dire Straits, l’esordio solista di Sting, The Firstborn Is Dead di Nick Cave And The Bad Seeds, Fables Of The Reconstruction degli R.E.M., The Head On The Door dei Cure, Psychocandy dei Jesus And Mary Chain, e qui mi fermo (la lista potrebbe essere lunga almeno il doppio) per non abusare troppo della vostra pazienza. È anche l’anno di USA For Africa e di “We Are The World”, non scordiamolo.

Adesso dovreste avere un’idea sufficientemente chiara del panorama musicale e di come un gruppo come i Marillion fosse assolutamente “improbabile”. Eppure, come accennavo poc’anzi, il successo dell’album, trainato dal singolo “Kayleigh”, fu clamoroso (rimane a tutt’oggi il loro disco più venduto). La Parlophone lo ripropone ora (luglio 2017) in box-set versione “superdeluxe” che raccoglie 4 CD e 1 disco Blue Ray. Il già elevatissimo standard qualitativo dell’opera originale viene ad arricchirsi e farsi scintillante grazie al tocco magico dall’attuale Re Mida dei remasters, ovvero Steven Wilson, ex-leader dei Porcupine Tree, che ha già messo mano a una manciata abbondante di classici del prog d’epoca (King Crimson, Yes, EL&P).

Nel dettaglio, oltre all’album in versione “2017 Remaster”, i fan non registreranno nulla di particolarmente nuovo, eccetto i dischetti 2 e 3 che contengono un concerto completo (Live At Utrecht 1985), mentre il quarto dischetto annovera singoli, b-sides e versioni alternative oltre ai ‘Misplaced Childhood’ Demos già editi nella ristampa del 1998.

L’ultimo dischetto (blue ray) è senza dubbio il più interessante grazie anche e soprattutto a Childhood Memories, documentario di oltre settanta minuti nel quale Fish si riunisce ai vecchi sodali per rammentare le genesi del disco e le traversie del periodo con la serenità dei vecchi amici che si incontrano dopo anni, senza rancori ma senza nemmeno risparmiarsi battute anche caustiche; troverete anche i video dei quattro singoli e interessanti “esperimenti” di Wilson sul materiale originale.

Credo sia giunto il momento di mettere da parte certi snobismi da reduci mentalmente atrofizzati dei Settanta e ammettere che Misplaced Childhood rimane non solo il capolavoro assoluto dei cinque scozzesi, bensì una delle pietre miliari indiscusse della musica pop progressiva di ogni epoca. Con buona pace di chi ancora li considera, scioccamente, una brutta copia dei Genesis.

 

[1] Per un’analisi approfondita di Misplaced Childhood vi rimando a un articolo che stiamo preparando e che pubblicheremo nella prima parte dell’anno nella sezione RE-LOUDD.