Mentre le note del nuovo album degli Yes risuonano nell'aria è inevitabile che la mente ripercorra l’album precedente. Il suo contenuto metteva in evidenza, senza ambiguità, lo stato in cui verteva la band, rivelando una sorprendente mancanza di vitalità. L'arduo tentativo di Mirror to the Sky di porvi rimedio riesce solo a tratti ad accarezzare tale obiettivo. Tuttavia, in questo ventitreesimo album in studio, gli Yes si avvicinano più di ogni altro momento al periodo classico che li ha resi celebri.
Fin dal suo inizio, l'apertura di “Cut from the Stars”, con un'energica sinfonia di linee orchestrali e basso, conduce con grazia l'ascoltatore al di là dei confini celesti, oscillando tra rivoluzioni maestose e pause scintillanti.
Il brano omonimo costituisce il cuore pulsante dell'album, il suo centro gravitazionale. Riesce ad evitare con successo tutte le fragilità presenti nella produzione del 2021 presentandosi come un lavoro ponderato e fluido nella sua evoluzione. “Mirror to the Sky” è quasi interamente strumentale, eccezion fatta per qualche sprazzo vocale, ma riesce a catturare l'attenzione per l'intera durata dei suoi 14 minuti. È un poderoso esempio di sinfonia rock, che si snoda in modo impeccabile attraverso i suoi molteplici movimenti.
Queste due tracce, affiancate da “Living Out Their Dream”, dinamica e travolgente, suggeriscono che il nuovo album sia un brillante esempio delle lezioni apprese nel tempo. Nonostante ciò, queste promettenti aspettative vengono deluse da una serie di brani privi di ambizione. Le restanti composizioni sembrano richiamare il suono degli Yes successivi allo splendore – come un libro di storia scritto in modo negligente – e così ci troviamo di fronte a brani come “All Connected”, una composizione abbastanza solida e affidabile, ma che manca di un filo conduttore in grado di tenere insieme tutti i suoi elementi.
Gli Yes di oggi sembrano privi della verve e della nitidezza che, purtroppo, la chitarra di Howe da sola non riesce a compensare. Sono soltanto le sue intricate e creative melodie a lottare per preservare l'imponente eredità di questa titanica band progressive rock.
Sorprendente è la scelta della band di includere alcune delle composizioni più interessanti come bonus. L'aliena “Unknown Place” si dimostra sufficientemente fantasiosa con il suo piglio spigoloso, mentre la delicata ma non meno coinvolgente “One Second Is Enough” avrebbe potuto facilmente trovare il suo posto nell'album.
Il nuovo lavoro degli Yes si presenta come un sasso scagliato in un lago immobile: potenti schizzi seguiti da ampie e lievi increspature sulla superficie, quando invece avrebbe avuto bisogno di più movimento e del rinnovamento proveniente da fonti d'acqua fresca.