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REVIEWSLE RECENSIONI
15/04/2018
Monster Magnet
Mindfucker
Dopo trent’anni di carriera e pur avendo perso l’ispirazione di un tempo, la band originaria del New Jersey continua a ruggire, disperdendo kilowatt di elettricità e proponendo un lotto di canzoni compatto, velenoso, grintosissimo

Ricordate Dopes To Infinity? Quel disco, uscito nel 1995, fu uno degli album più importanti e significativi del decennio, una mistura sulfurea e lisergica che sintetizzava heavy metal, psidechelia, space rock e stoner, e le cui volute di fumo disperdevano echi di Iron Butterfly, Motorhead e Hawkwind.

Un magma sonoro inarrestabile, che puntava dritto verso lo spazio infinito, macinando chilometri di accordi fragorosi, riff assassini e arpeggi lunari, con una cupa cattiveria solo a tratti illuminata dal geniale utilizzo di mellotron, theramin e organo. Un disco spartiacque, dunque, sia per il decennio che per la carriera dei Monster Magnet, che da quel momento in poi iniziarono a rilasciare dischi “normalizzati”, virando verso un rock quadrato e violento, ma privo di quella visione sperimentale che li aveva resi protagonisti assoluti della scena heavy.

Oggi, a quasi cinque anni dal precedente lavoro in studio, Lost Patrol del 2013, David Wynford e soci tornano sulle scene con un disco che replica una formula collaudatissima, ma lo fa però con una ferocia che non ha perso un grammo dell’antica violenza. Dopo trent’anni di carriera e pur avendo perso l’ispirazione di un tempo, la band originaria del New Jersey continua a ruggire, disperdendo kilowatt di elettricità e proponendo un lotto di canzoni compatto, velenoso, grintosissimo. E’, infatti, più facile trovare una sequenza porno in un cartone della Pixar, che un briciolo di melodia in queste undici cazzutissime canzoni.

La ricetta della casa, dicevamo, resta pressoché invariata: un polpettone spaziale e psichedelico in cui confluiscono suoni arcigni, assalti frontali con sciabolate stoner e cupa tenebra. Un menu per palati forti, che inizia con la derapata “heavy metal thunder” di Rocket Freak, e che continua a mietere vittime fra i padiglioni auricolari degli ascoltatori attraverso il vintage borchiato di Ejection, cover di un brano di Robert Calvert, nume tutelare proveniente della famiglia Hawkwind, lo sprofondo ossianico in quota Nick Cave di Drowing o l’adrenalina garage-proto punk della superba Brainwashed.

Non c’è più nulla che sorprenda davvero nella musica dei Monster Magnet, e la bizzarria e le intuizioni degli anni ’90 sono un lontano ricordo. Eppure, la potenza di un disco come Mindfucker non può lasciare insensibili, perché quella di Wynford e soci, a ben vedere, sembra ricordare da vicino la parabola discendente degli amici Motorhead, una band che ha continuato a picchiare duro fino alla fine, senza più genio ma con grande dignità. E se a sessantadue anni, Wynford riesce ancora a sfornare dischi così, che cosa gli vuoi dire? Non resta che tirargli un baffone, baciarlo in fronte e ringraziarlo di cuore.