Il proprietario pachistano di un minimarket compone il numero di emergenza 911 perché ha incassato dei soldi falsi da un cliente. Siamo nel quartiere nero di Franklin Heights, nell'area nord di Milwaukee. Quel cliente si chiama Emmett, e morirà poco dopo, soffocato per mano della polizia che è venuta ad arrestarlo. Da quel momento il gestore del negozio non riesce più a dormire, è tormentato dagli incubi, non avrebbe dovuto fare quella telefonata, ma ormai è tardi. I riflettori del mondo intero sono puntati sulla morte terrificante di un uomo ordinario, il cui ritratto ci viene svelato dalle persone che l'hanno conosciuto nelle varie fasi della sua vita…
L’omicidio di George Floyd da parte della polizia, il movimento Black Lives Matter, il razzismo, la protesta, l’indignazione: tutti temi che hanno riempito e continuano a riempire, con desolante frequenza, i notiziari televisivi e le pagine dei tabloid. Era difficile adattare tutto ciò alla trama di un romanzo, senza correre il rischio di farsi prendere la mano dalla retorica o rischiare l’effetto megafono spento, ribadendo cose trite e ritrite, scivolando nell’ovvio e nel prevedibile. Invece, Louis Philip Dalembert, haitiano, classe 1962, compie una specie di miracolo, dividendo il suo romanzo, Milwaukee Blues, in due parti ben distinte, con cui ribalta la consueta prospettiva narrativa, attraverso una prosa asciutta, semplice, malinconica e ironica al contempo, che evita facili lezioncine, concentrandosi semmai sull’animo umano e sulle idee. Il romanziere si mette da parte e osserva una grande corale americana, di bianchi e di neri che si muovono attraverso una Milwaukee periferica e degradata, ambientazione perfetta dell’eterna battaglia fra bene e male, fra speranza e rassegnazione, fra violenza e spiritualità.
Il libro si apre con il tormento del giovane immigrato pakistano, proprietario di un minimarket, che ha denunciato Emmett al 911. Una telefonata fatale, nata dal sospetto di aver ricevuto dei soldi falsi, e fatta per la paura di poter essere denunciato a sua volta, e di perdere quella piccola agiatezza economica conquistata con fatica e sacrificio. Una telefonata che è l’inizio della fine per il povero Emmett, che di lì a breve verrà assassinato brutalmente da un poliziotto, esattamente come accadde a George Floyd. Un capitolo iniziale che dice molte cose sulle contraddizioni di un paese, l'America, che regala opportunità a tutti ma che, altrettanto facilmente, può negarle, un paese in cui i poveracci sono privi di ogni tutela, e sgomitano fra loro per restare a galla, un paese in cui l’immigrato resta e resterà sempre un reietto, guardato con sospetto e oggetto del più stupido dei sillogismi: se c’è un reato, lo ha commesso sicuramente un nero o uno straniero.
Inizia così il romanzo vero e proprio, con una prima parte in cui Emmett, vittima sacrificale all’altare del razzismo, viene ricordato da tutti coloro che lo avevano conosciuto in vita: i suoi amici del cuore, la sua insegnante, la sua fidanzata del college, l’allenatore di football, la ex da cui ha avuto una delle sue tre figlie. Ecco allora, che il fatto di cronaca sfuma, lasciando il posto al ritratto di un uomo, che non è più solo una notizia data dal telegiornale, ma che riacquista la propria dignità; non più uno dei tanti, ma proprio lui, Emmett, con un volto e una storia da raccontare. Il suo sorriso dolce, il passo dinoccolato, l’affabilità e la testardaggine, i suoi sogni sportivi infranti per un terribile infortunio di gioco, la perseveranza di inseguire un miraggio e la forza con cui, nelle difficoltà, ha cercato di dare un futuro alle proprie figlie, nonostante tutto e tutti, nonostante la strada facile dello spaccio, che ha sempre rifiutato d’imboccare. Sembra di vederlo, Emmett, come lotta per restare a galla, con quale dignità, con quale dolcissima pertinacia, e verrebbe voglia di abbracciarlo, e di chiedergli scusa, perché la nostra indignazione, giusta e moralmente ineccepibile, è stata smossa solo dall’indignazione, e non dall’amore per quell’uomo così determinato, così fascinoso e gentile, che Emmett era in vita.
La seconda parte, invece, sposta il focus della narrazione sui preparativi della marcia di protesta che viene organizzata per le esequie della vittima. Protagonista diventa tutta Milwaukee, la reverenda che celebra la messa, gli attivisti, il poliziotto incriminato per l’omicidio di Emmett, i tanti partecipanti al funerale, le organizzazioni filo naziste e primatiste pronte a scatenare disordini, gli estremisti del movimento Black Lives Matter, il cielo che si rasserena improvvisamente dopo un feroce temporale, e Dio, che da lassù guarda l’umanità parlare in suo nome e affannarsi per affermare una fratellanza destinata a rimanere, forse, un’irrealizzabile chimera.
Se nella prima parte del romanzo il protagonista assoluto era Emmett = Uomo, ora protagonista diventa l’idea, il sogno di un mondo più giusto, in cui bianchi e neri si possano tendere la mano come fratelli pronti a combattere per quella uguaglianza, che un’America, ancora ferocemente razzista, continua a negare. La meticolosa preparazione dell’evento, la scelta del percorso, la musica e gli slogan da recitare, il passa parola sui social, la scelta delle parole per l’omelia funebre, sembrano solo apparentemente privare di pathos una marcia che diviene un grande evento mediatico. Eppure, nonostante tutto, nonostante la polizia schierata e pronta a caricare, nonostante l’ipocrisia di facciata delle istituzioni, in quel corteo batte forte il cuore dell’idea, il desiderio del cambiamento, la passione per la lotta, la ricerca inesausta di giustizia.
“…quando i due ne avrebbero parlato ai loro nipoti, che sarebbero stati essere umani prima di essere statunitensi, ebrei, haitiani, neri, bianchi, forse avrebbero evocato insieme i fatti di Milwaukee come di un tempo davvero finito.” Sono queste le parole che chiosano un romanzo vibrante, potente, emozionato, capace di raccontare il razzismo in una prospettiva tanto insolita, quanto vincente. Sono parole di speranza, un raggio di sole che buca le tenebre di un’umanità malata, ancora oggi, come decenni fa. Domani, forse, sarà un giorno migliore, ma perché ciò avvenga, i nostri cuori devono cambiare. Un romanzo come Milwaukee Blues può essere un buon inizio.