A pensarci bene, se si escludono gli esordi country pop, Midnights è il primo lavoro in cui Taylor Swift sceglie di tornare sui propri passi. Già, perché dopo la svolta pop di 1989 e quella indie di Folklore, in Midnights Swift guarda alla sua recente discografia e recupera temi ed idee musicali lasciati in sospeso in Reputation, un album a dir poco controverso, tanto amato dal pubblico quanto biasimato dalla critica.
Nei testi di quel disco Taylor Swift affrontava in particolare due questioni: l’eccessivo clamore mediatico che circondava la sua figura e le difficoltà nel trovare l’amore quando la propria vita è costantemente sulle prime pagine dei giornali. Naturale, quindi, che Reputation fosse un album oscuro, claustrofobico, attraversato da un costante senso di rivalsa e vendetta. Fortunatamente, nel 2019 il solare Lover ci ha consegnato una Taylor risolta e in pace con se stessa, ma, come testimonia ora Midnights, è indubbio che alcuni di quei demoni non se ne siano mai andati.
Ecco quindi spiegato il concept dell’album: tredici brani in cui Swift ripercorre altrettante notti insonni, passate a fantasticare rivincite personali, a desiderare l’amore oppure a chiedersi “che cosa sarebbe potuto succedere se”. Per farlo Taylor ha lavorato ancora una volta con Jack Antonoff, con cui a suo tempo aveva sviluppato le canzoni più introspettive di Reputation. Partendo proprio dalle suggestioni sonore di pezzi come “Delicate”, “Dress” e “Call Me What You Want”, i due hanno così costruito le fondamenta sonore di Midnights.
Annunciato a sorpresa durante agli ultimi MTV Video Music Awards, l’album presenta un parco di musicisti piuttosto eclettico. Hanno infatti partecipato alle registrazioni gli attori Zoë Kravitz e Dylan O’Brien, il fidanzato di Swift Joe Alwyn (che firma una canzone con l’ormai consueto pseudonimo di William Bowery), i producer hip hop Jahaan Sweet e Sounwave (che hanno lavorato rispettivamente con Drake e Kendrick Lamar) e i colleghi di Antonoff nei Bleachers (Evan Smith, Mikey Freedom Hart, Sean Hutchinson, Michael Riddleberger e Zem Audu).
Appena tre ore dopo la pubblicazione del disco, però, Swift ha rilasciato una “3am Edition” del disco con ulteriori sette canzoni, escluse dalla tracklist probabilmente perché ancora troppo vicine al mondo di Folklore ed Evermore (infatti tra i collaboratori ci sono Aaron Dessner e Justin Vernon, protagonisti assoluti di quel dittico).
Midnights è un viaggio sonoro nel quale Taylor Swift sperimenta ancora una volta con l’elettronica, andando a lambire territori dream pop, chill-out e trip-hop. Il risultato è un suono minimale, notturno e sognante, ottenuto grazie anche all’utilizzo di attrezzatura analogica, come i sintetizzatori Roland Juno-6 e Prophet-5, ma anche ad apparecchi vintage come il Moog e il Mellotron.
Il disco si apre con il trip hop di “Lavender”, per poi passare al Reputation-sound di “Maroon”, a cui appartengono anche tracce come “Midnight Ran” e “Bejeweled”. In quota dream pop ci sono invece pezzi come “Snow on the Beach”, dove Swift duetta con Lana Del Rey, mentre “Labyrinth” ricorda alcune cose di Titanic Rising di Weyes Blood. Il minimalismo elettronico di “Vigilante Shit”, invece, sconta qualche somiglianza di troppo con i lavori di Lorde, anche se va detto che con l’artista neozelandese Taylor condivide il produttore Jack Antonoff: che sia giunto per lui il momento di concedersi un turno di riposo?
Più sbarazzino il singolo “Anti-Hero”, in cui Taylor torna a esporre le difficoltà nel gestire la fama, mentre in “Karma” Swift si toglie più di qualche sassolino. Questo anche grazie a un titolo che è stato a lungo oggetto di speculazioni, dal momento che per anni si è vociferato di un intero album dedicato alla faida che nel 2016 ha visto contrapposti Taylor a Kanye West e Kim Kardashian (anche se potrebbero esserci dei riferimenti al discografico Scooter Braun, che ha acquistato i master dei suoi primi sette album).
Come la tradizione insegna (“Dear John”, “The Archer”, “My Tears Ricochet”, ovviamente “All Too Well”), la traccia numero 5 è sempre lo snodo emotivo di un album di Taylor Swift, e anche “You’re on Your Own, Kid” non fa eccezione. La canzone ha per protagonista una giovane Taylor che lotta contro la sua inadeguatezza, alla disperata ricerca di amore e amicizia. Ostacolata dagli elevati standard che la società richiede, che siano di bellezza o di capacità relazionali, la giovane si scontra con la dura realtà: tutti siamo inesorabilmente soli.
Gli ultimi atti del disco sono la dolce e delicata “Sweet Nothing”, sostenuta da un Fender Rhodes d’annata, e i sintetizzatori modulari di “Mastermind”. Ma se Reputation – il disco della crisi – si chiudeva comunque sulle note di speranza di “New Year’s Day”, curiosamente Midnights – in teoria un album realizzato da una Swift più adulta e risolta – si congeda dall’ascoltatore con i dubbi di “Mastermind”, dove Taylor racconta ancora una vota (vedi “Dress”) l’incontro con il fidanzato Joe al Met Gala del 2016. Segno che anche se la vita ti sorride e i problemi sembrano definitivamente alle spalle, i demoni possono ancora venirti a trovare nel cuore della notte.