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REVIEWSLE RECENSIONI
Midnight Again
…a Toys Orchestra
2024  (Ala Bianca/Santeria )
IL DISCO DELLA SETTIMANA INDIE ROCK
9,5/10
all REVIEWS
25/03/2024
…a Toys Orchestra
Midnight Again
Gli ...a Toys Orchestra ci lasciano nuovamente a bocca aperta per l’elevatissima qualità della scrittura e la facilità disarmante con cui inanellano dodici canzoni una più bella dell’altra, come se fossero ancora una band agli esordi desiderosa di cambiare il mondo. Dopo sei anni di assenza dalle scene con "Midnight Again" realizzano probabilmente il miglior album della loro carriera.

Quanto ci mancavano gli a Toys Orchestra? Lub Dub è uscito nel 2018, prima del Covid, quindi una vita fa, e da allora di Enzo Moretto e soci si erano perse le tracce. In questi sei anni il mondo della musica italiana è cambiato completamente, sia nei contenuti, sia nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, e non è scontato che per una band come la loro ci sia ancora posto.

Cantare in inglese, rifacendosi a stilemi che anche all’estero suonerebbero antiquati, non è esattamente il modo migliore per suscitare attenzioni in un paese che sembra più che mai ostaggio dei meccanismi del mainstream.

Eppure, alla band di Agropoli è sempre importato poco di logiche di questo tipo: partiti 25 anni fa, quando suonare un certo tipo di Indie Rock di stampo anglosassone era considerato un preciso marchio identitario, nonché una presa di posizione quasi politica nei confronti del mercato musicale, gli a Toys Orchestra hanno sempre fatto quello che volevano, guidati dall’ispirazione artistica piuttosto che da logiche di opportunismo commerciale.

Non c’è dunque da stupirsi se il loro ritorno sulle scene ad oltre un lustro dall’ultimo disco, sia all’insegna di quelle stesse sonorità che hanno fatto innamorare di loro migliaia di ascoltatori in tutto il paese. In questo senso Midnight Again appare esplicativo sin dal titolo, richiamo esplicito alla celebre accoppiata Midnight Talks/Midnight (R)Evolution che è ancora considerato l’apice compositivo della band (assieme al precedente Technicolor Dreams) e che a distanza di tredici anni potrebbe arrivare a completare un’ideale trilogia.

Per il resto, ciò che lascia a bocca aperta è ancora una volta l’elevatissima qualità della scrittura, la facilità disarmante con cui inanellano dodici canzoni una più bella dell’altra, come se il tempo non fosse passato, come se fossero ancora una band agli esordi desiderosa di cambiare il mondo.

 

Nessuna grossa novità, dunque, suono e intenzioni rimangono ancora quelle di Lub Dub, ma con brani nel complesso migliori (e non era facile), più profondi, con una maggiore commistione di stili, e con soluzioni di arrangiamento che privilegiano fiati ed archi, piuttosto che i Synth che hanno caratterizzato soprattutto la prima parte della loro carriera.

L’inizio con “Hallelujah”, struggente ballata in crescendo puntellata dal pianoforte, basterebbe già per chiudere il discorso e mandare a casa tutti, tanto è la schiacciante superiorità dimostrata nei confronti di tre quarti delle cose che girano oggi dalle nostre parti. Ma ecco arrivare anche Life Starts Tomorrow”, che alza il ritmo colorandosi di tinte rock blues nonché di un certo feeling italico che la rende simile (almeno nelle intenzioni di base) ad un classico come “Celentano”.

O ancora la commovente drammaticità delle melodie di “Take me Home” e “Whatever We Are” (quest’ultima con una prova vocale maiuscola di una sempre convincente Ilaria D’Angelis), dove salgono in cattedra orchestrazioni cameristiche e si intravedono sonorità che stanno a metà tra il Gospel e l’Alt Folk.

È comunque un disco in cui funziona tutto, sia i momenti in cui i suoni si riempiono e si pigia un po’ di più sull’acceleratore (“Our Souls”, “Goodbye Day”) sia quando ci sono meno elementi di contorno e permane la struttura ritmica nella sua scarna efficacia (“Hero” da questo punto di vista è splendida, col suo feeling un po’ a la Roger Waters).

Ciliegina sulla torta, la conclusiva “OCD Lullaby”, vivace gioco ritmico tra piano e chitarre, andamento nel complesso liberatorio, insperata luce alla fine di un viaggio in cui prevalgono le tinte scure della critica al presente in cui stiamo vivendo.

 

Gli a Toys Orchestra tornano dopo sei anni  e buttano fuori quello che non sarebbe esagerato definire il miglior album della loro carriera. E certo, potremmo tirare in ballo il solito luogo comune secondo cui se fossero inglesi o americani sarebbero più famosi degli Arcade Fire, oppure lamentarci perché l’Italia musicale non è più quella fotografata dalla compilation Il paese è reale di cui furono padrini gli Afterhours in occasione della loro prima e unica partecipazione a Sanremo, e nella quale il gruppo campano faceva bella mostra di sé accanto ad un nutrito numero di realtà che oggi o non ci sono più o sono state seriamente ridimensionate.

Potremmo fare tutto questo; oppure, semplicemente, ringraziare per un disco del genere, che ci regala una bellezza inaudita e che sfugge alle logiche di un mercato sempre più massificato dove, certo, si trovano anche cose valide, ma dove è sempre più difficile esser se stessi e puntate su un percorso duraturo.

Non perdeteveli dal vivo.