Se è vero che il secondo album è il più difficile nella carriera di un artista, come dice il luogo comune e come canta persino Caparezza, per i Subsonica la faccenda si complica. Non c’è infatti nuova uscita del gruppo torinese che non sia accompagnata dal solito coro di lagne sull’ennesimo disco imparagonabile a “Microchip Emozionale”. Un atto di accusa plausibile solo a metà. Da una parte il secondo lavoro della band di Max Casacci costituisce, in effetti, un raro esempio di album in cui si fa fatica a trovare una nota fuori posto. Dall’altra è pur vero che nessuno dei long playing successivi possa contare su una tracklist altrettanto convincente. A parte forse “Amorematico”, da allora in poi la tentazione di intervenire con lo skip per saltare certe canzoni dei Subsonica palesemente intese per portare al colmo la capacità del supporto si è fatta sentire sempre con maggiore frequenza, anche ascoltando la loro musica a tutto volume.
E così, con non poca malinconia, torniamo ai fasti di allora. È il 1999 e i Subsonica sono una delle novità più interessanti della Mescal e di tutto il panorama nazionale. Hanno un convincente esordio all’attivo, suonano in giro come dei forsennati e incarnano il meglio della contemporaneità sonora italiana di fine millennio. Il loro è un mix di culture, musicali e non, differente da tutto il resto. Nei brani si trovano spudoratamente affiancate tracce di big beat e canzone d’autore, drum’n’bass e new wave, colonne sonore dei cartoni animati giapponesi e house music, amalgamati perfettamente a tavolino, nell’attività in studio, e poi riproposti dal vivo con un suono divertente, moderno, ricco e travolgente. E non è solo per una questione di sound: logo, copertina dei dischi, presenza scenica, blog e contatto online con la fanbase contribuiscono alla diffusione del verbo. Samuel e Boosta saltano sul palco come dei forsennati. Ninja e Pierfunk, di lì a poco sostituito da Vicio, garantiscono una macchina ritmica perfetta. Max Casacci, la mente e il cuore del gruppo, cura impeccabilmente la regia e l’esecuzione di un progetto ad oggi unico nel suo genere.
Tutto questo viene concentrato intelligentemente dalla band in “Microchip Emozionale”, un disco che esce in due versioni - a distanza di qualche mese - e che accompagna i Subsonica lungo il definitivo crescendo verso il successo. Nata e cresciuta sui palchi dei club e dei centri sociali, passando per la partecipazione a Sanremo con “Tutti i miei sbagli”, singolo incluso nella seconda release del disco, che li consacrerà definitivamente non solo tra gli adepti della scena alternativa, l’esperienza di “Microchip Emozionale” si rivelerà una best practice, come dicono quelli del marketing, un processo grazie al quale il disco venderà più di 100mila copie, otterrà il disco di platino e si piazzerà al sedicesimo posto dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo una giuria (discutibile ma pur sempre giuria) individuata da Rolling Stone Italia.
“Microchip Emozionale” si caratterizza per essere un album centrato su temi che, visti ai tempi bui dei cervelloni della piattaforma Rousseau, risultano fin troppo avanti: i media e il controllo delle nostre opinioni, l’uomo e l’intelligenza artificiale, il freddo della macchina contro il calore delle emozioni. Ci sono rimandi all’immediatezza del precedente album omonimo e anticipazioni dell’elettronica di quello che verrà. Troviamo il primo dei numerosi tentativi (riusciti) di far ballare la gente sul sette quarti con “Disco Labirinto”, quel modo di fare techno fintamente dispari che si prolungherà poi in “Nuvole rapide” fino a “Una nave in una foresta”. Ancora le radici, le notti passate sul dancefloor, fino a “Liberi tutti” e l’arte di far esplodere il pubblico del Concerto del Primo Maggio. Persino qualche canzone d’amore, è il caso di “Lasciati” e del funk urbano (comprensivo di un sorprendente acuto di Samuel) di “Strade”.
Le volte in cui abbiamo ascoltato “Microchip Emozionale”, dal 99, non si contano più. Forse oggi, con l’indie depresso che ci sta con il fiato sul collo, tutto quell’entusiasmo elettronico così scanzonato può risultare fuori luogo. I sogni di Aurora si sono brutalmente interrotti e il cielo su Torino, città ormai lontana dall'esperienza di Castellani e Chiamparino, minaccia tempesta senza ritorno.