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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
25/07/2017
(ma non lo trovo)
Mi piacerebbe entusiasmarmi per del nuovo
E che dire delle sirene Linder e Claire Gogran a fronteggiare Ludus e Altered Images, per cui dovetti dolorosamente scegliere, ancora nel 1981, in favore dei primi (oggi non me ne pento) optando per il leggendario Heaven “under the arches”?
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

La mia passione per i fumetti sopravvisse solamente grazie e attraverso Métal Hurlant e Cannibale-Frigidaire.

Infatti, dall’estate del 1977 in poi l’esplosione punk e le sue conseguenze non consentivano distrazioni come Spiderman, mentre i tempi produttivi di Hugo Pratt si dilatavano a dismisura.

Meglio leggere NME, MM e - quando si trovava (mai o quasi) - Sounds. Poi c’era Zigzag: titolo atroce, ma fusione splendida di fanzine e respiro oltre il settimanale. Con tutta questa dotazione di stampa (rammento l’inesistenza di Internet) difficilmente si perdeva qualche importante uscita musicale.

Nell’estate 1980 - dove gli Young Marble Giants di “N.I.T.A.” a San Francisco in un negozio di dischi mi fecero quasi sobbalzare: era uscito senza annuncio il terzo album di S&TB o cosa? - The Face uccise definitivamente un b/n non scelto, ma impostoci[1], permettendo appunto di scegliere fra 9 colori: l’arcobaleno e i due che ci avevano forzosamente fatto pensare fossero i soli.

Della modrophenia 1979 già scrissi.

Ex post, le critiche ai neonati Spandau Ballet e Duran Duran fanno sorridere in quanto prive di ogni profondità. Come spesso accade a London e Birmingham, avevano studiato sodo; nel 1980-81 quelle valutazioni negative di certo giornalismo nazionale si potevano perdonare, oggi no (le intenzioni delle due band agli esordi almeno erano genuine; del resto chi si ricorda quando anche i Depeche Mode erano un bersaglio impossibile da mancare?).

I Visage poi produssero un primo eponimo album davvero rimarchevole e il namechecking di chi vi partecipò lo dimostra.

Intanto si affacciano i Bauhaus e, quasi senza che molti se ne accorgessero, fondamentali come The Associates (anche io inizialmente li liquidai come “leggeri” pur se apprezzati da Steve Severin), ma forse si era distratti - senza sarcasmo, li vidi al Maximus di Leicester Square nella estate del 1981: indimenticabili - dai Soft Cell?

E che dire delle sirene Linder e Claire Gogran a fronteggiare Ludus e Altered Images, per cui dovetti dolorosamente scegliere, ancora nel 1981, in favore dei primi (oggi non me ne pento) optando per il leggendario Heaven “under the arches”?

La signora Sterling, sposata Bracewell, dopo Siouxsie e con Billie Ray Martin si pone a completare la mia trinità assoluta di voci femminili[2].

A definitivo suggello della distruzione del banale - senza nemmeno toccare in questa sede la devastante Deutsche Neue Welle - cito il cinematico (nelle sensazioni offerte al pubblico) concerto del 1982 celebrato dalla britannica metallurgia dei Test Department in una disusa stazione ferroviaria di Londinium.

Per onestà intellettuale dichiaro di non aver notato i quattro anni di The Smiths; credo di avere più di una attenuante e forse anche una causa di giustificazione.

In fondo chi oggi non conosce i primi due album di The Human League per me è insufficiente: ovvero ancora negli scorsi anni ottanta si era persi nella propria musica e quindi non necessariamente si ascoltava anche ciò che era negli altrui gusti[3].

Mi fermo poiché credo che già si richieda l’ossigeno (fra tenda e bombola, io e David Bowie opteremmo per la prima) per taluni più giovani e pazienti lettori.

Dunque si procede così per anni perdendo anche di vista qualcuno - i Theatre of Hate risucchiati sbrigativamente nel positive punk inter alia - senza arrestarsi mai.

Ma poi non c’è più nulla[4] per diversi anni.

Appunto.

E comincia la lenta marcia della rimasterizzazione, complice la tecnologia del CD, la quale dapprima svela gemme assolute o relative e poi si autoalimenta.

Ormai noti i miei gusti tramite i miei post, fermo l’orologio con due band fra loro antitetiche: Oasis[5] e Placebo.

Una quindicina di anni fa.

Ecco, vorrei - ci ho provato inutilmente comprando album che all’ascolto sono risultati derivativi senza rimedio - qualche cosa di nuovo.

Non lo trovo.

Nei fumetti è peggio.

Solo Miguel Angel Martin, di cui apprezzo soprattutto Keibol Black perché frigidairiano come un nipote bastardo di Ran(k)xerox, mi diverte e mi fa pensare.

Lascio a voi decidere il perché principale del mio non entusiasmarmi più.

 

[1] È mia ferma convinzione che il tardivo ingresso del colore nelle trasmissioni televisive italiane abbiano danneggiato l’economia e lo sviluppo culturale della nazione.

[2] Per “un quarto” al tavolo dovrei scomodare Maria Callas e non mi penso blasfemo; Diamanda Galas credo non sarebbe in totale disaccordo.

[3] Chi ascoltava Marc and the Mambas infatti non “doveva” per forza apprezzare anche la band di Morrissey e Marr.

[4] In una prospettiva più popolare, degni di disamina ex professo sono sicuramente Public Enemy e Guns ‘n’ Roses e, prima di loro, un già folgorante (per contenuti e cross-over reale fra rock, soul e jazz, sulle spalle di Sly Stone più che di James Brown) Prince a partire dal suo terzo album.

[5] Nella loro sfida tifavo ingenuamente per gli antagonisti Blur, di cui oggi salvo solo Modern Life Is Rubbish.