Mi chiamo Lucy Barton è un romanzo in parte autobiografico: alcune delle esperienze narrate nel libro richiamano in maniera diretta quelle vissute dalla Strout, prima tra tutte il fatto di essere una scrittrice che la accomuna alla protagonista del racconto Lucy Barton. Sono pochi i personaggi centrali del romanzo: Lucy, sua madre, tanti altri però sono quelli richiamati dai ricordi, dalla narrazione orale tra le due donne, tutti diventano vividi coprotagonisti per brevi momenti, squarci di altre esistenze sepolti nel passato o nel lontano Illinois, nel paesotto di Amgash, a più di mille chilometri da New York dove Lucy ora si trova, costretta in un letto d'ospedale.
La narrazione inizia in flashback, Lucy racconta quando anni prima si trovò costretta a passare numerose settimane in un'ospedale di New York a causa di un batterio ostile scaturito in seguito a una semplice operazione di appendicite. La donna, costretta a letto, sente forte la mancanza delle sue due bambine, Chrissie e Becka, il marito William detesta gli ospedali e dovendosi prendere cura delle due piccine non passa a trovarla molto spesso, a farle compagnia un dottore gentile e le luci del maestoso Chrysler Building che scintillano fuori dalla finestra. Dopo diverse settimane di ricovero, in visita a Lucy arriva sua madre, una madre lontana che lei non vede da anni, il suo trasferimento a New York e il matrimonio con suo marito avevano allontanato Lucy dalla famiglia, una distanza apparentemente incolmabile, invece ecco lì sua madre, una donna ormai anziana che nonostante l'agitazione e la paura, per chissà quale motivo, è salita da sola su un aereo nell'Illinois per atterrare nel caos di New York e passare qualche giorno al capezzale della sua "bestiolina". Così Lucy ritrova il calore di quella madre, una calore che a dire il vero non è mai stato bruciante, e con la madre accanto si sente meglio, vuole sentire la sua voce, ancora e ancora, si affastellano così aneddoti, ricordi, resoconti e aggiornamenti, sul fratello e sulla sorella di Lucy, sulla gente del paese, su vecchi conoscenti. Alla memoria di Lucy tornano a essere vivide le esperienze della miseria, dell'esclusione, patite a causa di una vita di estrema povertà ad Amgash, episodi sepolti nel passato, una giornata con il padre, alcune vecchie frequentazioni, tutti ricordi che si mescolano ad altri più recenti e alla nuova vita da scrittrice intrapresa da Lucy. L'esperienza ripercorre il lungo percorso di affermazione della sua persona che, nonostante i vari errori e le recriminazioni, ha ora portato la donna a poter davvero affermare di essere Lucy Barton.
La storia di questa famiglia infelice, discriminata e poi separatasi con qualche rimasuglio di acredine e accumulata indifferenza, riportata da pensieri e parole della protagonista e di sua madre, non manca di coinvolgere e commuovere e acquista colore nei racconti riportati di tante altre persone che sono o sono state inquilini temporanei della vita di Lucy; ci sono l'infanzia difficile nella provincia americana, il presente con l'affermazione e il successo ma anche qualche rimpianto, per i grandi dolori inflitti suo malgrado alle due figlie da parte della protagonista, la vita a New York simboleggiata spesso dalla magnificenza del Chrysler Building ma soprattutto quell'amore perso ma mai sopito per una madre per troppo tempo lontana, fredda, che nonostante tutto ha lasciato un vuoto non facilmente colmabile. La protagonista affronta un percorso in cerca della certezza di sé stessa come donna e scrittrice, tale percorso è pennellato con piccoli tratti dalla scrittura della Strout che con un linguaggio semplice ci trasporta in un racconto particolare, quello dei Barton, dai risvolti universali, con onestà, senza timori e lasciando nel lettore un subitaneo affetto per i suoi personaggi.