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REVIEWSLE RECENSIONI
Mesquite Suite
Lucky Brown & The S.G.'s
2018  (Tramp Records)
JAZZ BLACK/SOUL/R'N'B/FUNK
7,5/10
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16/10/2018
Lucky Brown & The S.G.'s
Mesquite Suite
Non pensiate che il lo-fi sia ad esclusivo uso e consumo di qualche grattugia-chitarra squattrinato e trangugiatore di birra ventiquattr’ore al giorno, che pensa di usare i propri rutti a mo’ di corrente elettrica per far funzionare gli amplificatori.

Se pensate questo siete fuori strada, giacché l’artista di cui mi appresto a narrarne le gesta non è un adepto della chiesa rock più o meno rumoroso (sulle birre non ci giurerei) ma pur suonando musica nera in tutte le sue varianti, fa del lo-fi la parte integrante del suo verbo.

Lucky Brown e i suoi S.G.s sono fuori dal 2011, il primo album “Lucky Brown’s Space Dream” fu un bel sentire di blues e funk malmostoso, il seguente “Mistery Road” pubblicato nel 2015 ne ripercorse le tracce, il nuovo “Mesquite Suite” in uscita il 28 settembre per la Tramp Records, pur mantenendo di base la genuinità povera della produzione, aggiunge qualche ingrediente più sofisticato, ma badate bene senza che questo vada ad incidere e a neutralizzare un prodotto bello ruvido e genuino, a chilometro zero, come direbbe qualche pirla.

Lucky Brown non è Lucky Brown, o per meglio dire il suo vero nome è Joel Ricci, è americano e bianco, trombettista, ma se lo ascoltate lo date per nero, talmente è intriso di africanismo e funk.

Fela Kuti che fa capolino tra i solchi, psichedelico quanto basta: ascoltate ad esempio “Mother Corn Stalk” e “Justice”, ma sono anche le raffinatezze cool dell’iniziale “Lone Heart” e la cinematica title track, adatta ad un film noir intriso di notte, oppure “Saints and Beggars” che rievoca le strade colorate di New Orleans piene di bande a suonare vecchio jazz.

Ancora jazz che si aggira nei vicoli bui, nella notte, con la paura di essere seguiti, come ascoltiamo in “Bless Your Soul”, le morbidezze soul di “Glancing Meteors” e il cha cha cha di “Estrellas De La Tierra” a dare un tocco latin al disco. Il finale affidato a “For Once And For All” è un pezzo di rare groove che mette il sigillo a “Mesquite Suite” e che ancora di più mi fa dire che se il jazz vuol vivere e campare per altri mille anni, deve prendere esempio da dischi come questo, che fanno dell’ibridazione tra generi la loro essenza.