“Se siete stanchi dei libri scritti dalle signore scrittrici d’oggigiorno, eccovi un libro scritto da una donna che non fu mai una signora. Per circa dieci anni, come spesso capita, Kiki fu lì lì per essere una regina, ma questo naturalmente è molto diverso dall’essere una signora.”
La citazione che avete appena letto è contenuta nella prefazione scritta da Ernest Hemingway per il libro di Kiki De Montparnasse, Memorie di una modella. Stiamo parlando dell’unica e sola prefazione che “Papà Hemingway”, come lo chiamava Kiki, abbia mai scritto per il libro di qualcuno. Ma Kiki, all’anagrafe Alice Prin, non era di certo una persona qualunque. È stata la regina indiscussa di Montparnasse durante i “ruggenti anni venti” Parigini. Anzi, citando ancora una volta Hemingway, Kiki “dominò l’epoca di Montparnasse più di quanto la regina Vittoria dominò l’epoca Vittoriana.”
Cantante, attrice, pittrice, ballerina, ma soprattutto modella, Alice Prin nacque a Châtillon-sur-Seine (in Borgogna), il 2 ottobre 1901 e morì giovanissima, il 29 aprile 1953, a Parigi. Di origini umili, abbandonata dalla madre poco dopo la sua nascita, venne cresciuta dalla nonna, con grandi sacrifici, perché spesso e volentieri mancava il pane in tavola e per riuscire a nutrirsi, era costretta a elemosinare un po’ di cibo dalle suore.
Kiki ha 12 anni quando sua mamma scrive alla nonna chiedendole di mandarla da lei a Parigi, affinché possa quantomeno imparare a leggere. Ma a 13 anni, per necessità, è costretta ad abbandonare la scuola. Sa solo leggere e fare i conti, e per mantenersi deve andare a lavorare. Fa l’apprendista in una maglieria, ripara le scarpe dei soldati, si alza tutte le mattine alle 5 per vendere il pane e si ritrova, suo malgrado, a subire le molestie del fornaio.
Un po’ per caso (e per fortuna) a 16 anni inizia a posare come modella - anche se si vergogna molto, perché non ha i peli pubici e così se li disegna con un gessetto - e ad inserirsi negli ambienti artistici e culturali di Montparnasse, dove incontra figure del calibro di Modigliani e Utrillo, per cui posa. Posa anche per Kisling, che una volta si rivolse a lei gridandole dietro “Ecco la nuova puttana di Montmartre”, e per Fujita.
Kiki per Modigliani
Kiki e Fujita
Figura carismatica, eclettica e decisamente anticonformista, la sua vita cambierà radicalmente nel 1921, quando, a La Rotonde, uno dei caffè più famosi di Parigi, incontrerà Man Ray, pittore, fotografo, regista e grafico statunitense, esponente del Dadaismo, di cui diventerà musa e compagna. Bella, sfrontata e decisamente eccentrica, è truccatissima, indossa un cappotto nero e ha un foulard di seta annodato al collo. È lì con una sua amica e il cameriere si rifiuta di servirle, convinto che siano due prostitute. Lei si sente offesa e ferita, è arrabbiatissima, così, sale su un tavolo e con un gesto provocatorio, ci si siede sopra a gambe aperte. Man Ray assiste a tutto, rimane folgorato dall’esuberanza di quella giovane donna e le chiede di unirsi a lui e ai suoi amici.
Kiki diventa dapprima la sua modella e in seguito la sua donna e la sua musa. Nel dicembre del 1923 andranno a vivere insieme all’Hotel Istria, che all’epoca era il cuore pulsante della scena culturale Parigina, dove hanno alloggiato artisti come Duchamp, Rilke, Picabia e molti altri. Ed è proprio lì che Man Ray viene colto da ispirazione per dar vita a una delle sue opere più celebri e scandalose, “Le Violon d’Ingres”. Il corpo di Kiki, sinuoso ed erotico, si trasforma nella cassa di un violoncello.
Kiki per Man Ray
Kiki, però, entra in crisi, perché l’espressione “Le Violon d’Ingres” non è particolarmente gratificante, in quanto è sinonimo di “passatempo”, “hobby”. Così, si convince di essere per Man Ray solo uno strumento di piacere, solo un oggetto attraverso il quale può dar vita alle sue intuizioni artistiche. Si sente usata e la relazione tra i due, inevitabilmente, precipita. Liti violente, incomprensioni e tanta gelosia, anche perché Kiki, nonostante il loro rapporto, è determinata a mantenere la propria indipendenza, tant’è che non smetterà mai di posare anche per altri. E soprattutto, non ne vuole sapere di rinunciare alle sue nottate in giro per locali di una rutilante Parigi, per cantare e ballare (si racconta che fosse solita ballare il can-can senza mutandine).
Non solo, Kiki coltiva una propria personalità artistica e frequenta artisti di tutti i tipi e di tutte le correnti: “Usciamo con dei tipi che si chiamano Dadaisti e altri che si fanno chiamare surrealisti, ma io non riesco a vedere questa gran differenza fra loro! C’è Trsitan Tzara, Breton, Philippe Soupault, Aragon, Max Ernst, Paul Eluard, ecc… Le notti le passiamo a parlare, il che non mi dispiace affatto, anche se non riesco a capire di che cosa si stia parlando”. Tra i suoi amici, inoltre, figuravano anche Hemingway e Cocteau.
Tra le tante abilità di Kiki, c’era anche la pittura. Inizia a dipingere quasi per caso e i suoi quadri piacciono molto, tant’è che nel 1927 la sua mostra registra il tutto esaurito. Così, più afferma la sua personalità, lasciandosi alle spalle la ragazzina povera e insicura di un tempo, e più il suo rapporto con Man Ray va a rotoli. Si lasceranno in malo modo, perché lui, intanto, sta già con un’altra donna, una modella – fotografa, molto più giovane di Kiki.
Non parla di lui nemmeno nella seconda parte del suo libro, scritta a 23 anni di distanza dalla prima, e di quando si sono casualmente rincontrati, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in un Bistrot di Parigi. Pare che quell’incontro avesse turbato profondamente Man Ray, perché la Kiki che si era ritrovato davanti non era più quella che lui ricordava. Appesantita e trascurata nell’aspetto, non aveva nulla a che vedere con la sua musa, con quella donna che aveva amato, nonostante tutto, e che era stata, per lui, scintilla vitale e nutrimento umano e artistico.
Kiki morirà poco dopo quell’incontro, sola e povera, a un passo dai 52 anni, a causa dell’abuso di sostanze stupefacenti e alcol. Gli anni della Belle Époque Parigina erano ormai lontani, come lontano era il mito di Kiki. La regina di Montparnasse, eccentrica, originale, spregiudicata, solare, e sempre sopra le righe, quella che se ne andava in giro per il quartiere con un topolino bianco legato al polso con una catenella, era tornata alle sue origini, schiacciata da stenti e povertà. Kiki, la musa, la regina di un’epoca intera, era tornata ad essere semplicemente Alice.
Venne sepolta nel cimitero di Montparnasse. Tra i vecchi amici, l’unico presente al suo funerale fu Fujita. Sulla sua tomba c’è scritto "Kiki, 1901-1953, cantante, attrice, pittrice”. Nel 1974 è stata trasferita nel cimitero Parigino di Thiais.
Vi ho raccontato molto brevemente la vita di Kiki, arricchendola anche di alcuni aneddoti che nel suo libro, Memorie di una modella, non sono presenti. Un libro che è sostanzialmente un diario, scritto in modo semplice, quasi infantile. Manca di profondità e momenti poetici. È un elenco di fatti raccontati in modo scarno, senza pathos, en passant, al punto che, a volte, si fa un po’ di fatica a contestualizzarli. Viene a mancare un reale coinvolgimento, ci si sente sempre un po’ ai margini della narrazione e stranamente distanti da una donna che, in realtà, è sempre stata particolarmente aperta e accogliente nei confronti del prossimo e della vita.
Forse, l’intento di Kiki, seppur inconsciamente, era proprio quello di voler prendere le distanze da una parte della sua vita o più semplicemente, tralasciando implicazioni di tipo psicologico, non aveva la stoffa della scrittrice per poterla raccontare come avrebbe meritato, ed è un vero peccato. Così, a dispetto di quanto scritto da Hemingway “… penso che il libro di Kiki sia fra i migliori che abbia letto dopo The Enormous Room (La stanza enorme di E.E. Cummings, ndr)”, ci troviamo sicuramente dinnanzi a un libro curioso, che solletica la fantasia del lettore e fa venir voglia di andare a scoprire e approfondire, anche altrove, la figura di questa donna che è stata una vera e propria icona di quegli anni, ma i suoi contenuti artistici, sono assolutamente prescindibili.
In ogni caso, il mito di Kiki è destinato a vivere in eterno in tutte le opere che la ritraggono. Opere di grandissimo valore, realizzate da artisti straordinari, che vedevano in lei, nella sua bellezza irregolare, nella sua ironia e vitalità, qualcosa di unico e speciale. Un’ultima curiosità, la fotografia di Man Ray, “Le Violon d’Ingres”, è stata venduta proprio recentemente, presso la casa d'aste Christie's, per 12,4 milioni di dollari. Un vero e proprio record per una fotografia.