Un album di quelli enormi (cinquanta minuti!), per questi chitarristi maratoneti di Baltimora che fanno del barrage ritmico tra Townshend e McGuinn un annacquato marchio di fabbrica per costruirci sopra un lato A fatto di due estese suite di 10 minuti l’una, divise ognuna in tre “movimenti”. Sentori progressivi? Neanche per sogno: nessun cambio di ritmo, nessuna tastiera, nessun flauto, neanche un cantante castrato … solo voltaggi chitarristici notevoli e un’ispirazione di songwriting che guarda inaspettatamente ai Kinks di Face to Face (Show Me The Way) e ancor più palesemente ai Byrds più epici, deformati da una lente di sana megalomania, palese già nel concept, interpretato dalle note di copertina come la ricerca di una rivoluzione culturale pari a quella che nel villaggio di Merrymouth, nel XVII secolo, spezzò le rigidità delle leggi puritane… Così, tanto per complicarsi la vita… Tra suoni solo vagamente sudisti e facili melodie assolate e biecamente “christian rock”, che piacerebbero ai Kings of Leon, Henry Stared è sognante come il monologo di qualche capellone californiano in tremendo ritardo all’ultimo live dei Wishbone Ash, quelli delle parti più lente di Argus. La seconda suite, composta dal trittico Changes Places/Under A Wave/Johnny è, grazie al cielo, più energica, mossa da riff battenti come una James Gang filtrata da un bel setaccio funky, mentre il cantante Kenny Ross si sforza di trovare il giusto timbro tra una finta innocenza adolescenziale e un ammiccamento dandy appena miagolante, riuscendo, in Changes Places, ad indovinare anche un bel fraseggio moderno, se ritenete moderno il brit-pop degli Oasis.
Il lato B è una sciarada di pezzi più sintetici (eccetto i sette minuti e mezzo di Stand Alone) costantemente costruiti su intrecci chitarristici assai power-pop, che nei momenti più felici (ma solo lì…) potrebbero essere scarti dell’Alex Chilton dei Big Star (Dozy World) con la solista di un Neil Young appena adolescente (In The Beginning). In chiusura la lunga Stand Alone, che si apre con i soliti accordi da Stairway to Heaven, o Taurus…se siete maligni (d’altronde siamo solo nel ’70…) e si dilunga su toni da ballad depressa e pedante, riscattata solo parzialmente dall’ovvia coda strumentale finale.
Steve Mace: guitar
John Nickels: bass
Dennis Tobell: lead guitar, backing vocals
Kenny Ross: lead vocals
Paul Welsh: drums