“Questo è un romanzo scritto un po’ nello stile telegrafico e schizofrenico in uso sul pianeta Tralfamadore”. È così che l’autore si esprime a proposito del suo libro, in un altro passo definito “[…] schifoso libretto...breve, confuso, stonato”. E, nemmeno a dirlo, questo schifoso libretto è uno splendido manifesto antimilitarista, e al contempo un romanzo di fantascienza, la storia di uno dei più tragici eventi della seconda storia mondiale, un piccolo saggio politico, ma anche filosofico sul tempo, un campione di fine umorismo.
L’autore, Kurt Vonnegut, americano di origini tedesche, partecipò realmente alla seconda guerra mondiale e realmente fu testimone del bombardamento di Dresda e della distruzione di una delle più belle città europee da parte delle forze alleate, e decise di raccontare quella dolorosa esperienza. Ma, forse perché “non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro”, o più probabilmente perché un’esperienza come questa è impossibile da descrivere, è totalmente ineffabile, ha scelto una forma particolare, visionaria, irriverente, grottesca, che non nasconde tuttavia l’orrore della guerra e la sua assurdità. D’altra parte, il romanzo viene scritto nel 1966, e si pone decisamente fuori dalla retorica degli americani liberatori che hanno posto fine alla barbarie del nazismo, per mettere in evidenza, invece, la crudeltà di un bombardamento a tappeto a danno deliberato ed esclusivo dei civili, voluto dagli alleati per fiaccare la resistenza dei tedeschi demoralizzandoli. È comprensibile che nel 1966, in piena guerra fredda, una concezione di questo tipo potesse essere espressa solo sotto forma di racconto fantastico ed esilarante.
La storia è quella di Billy Pilgrim, imprenditore di successo nel campo dell’optometria, un uomo qualsiasi, il classico americano medio che però possiede un dono unico: Billy Pilgrim ha viaggiato nel tempo. E conosce il segreto del tempo. Sa che la morte sulla terra non è veramente morte perché in un’altra dimensione si continua a vivere. E poiché vivere sulla terra non lo entusiasma molto, Billy non ha paura di morire. Ha vissuto tante vite, tante avventure, ha conosciuto tanta gente, ha rischiato di morire tante volte ma si è sempre salvato.
Billy sa tante cose sul tempo; le sa perché i marziani lo hanno rapito e lo hanno portato sul pianeta di Tralfamadore i cui abitanti non conoscono il senso del passato, del presente e del futuro.
Catturato dai tedeschi, insieme ad altri cento americani nel 1945 è arrivato a Dresda, nel Mattatoio n. 5 e, dopo il bombardamento della città, che costò la vita a oltre 135.000 persone, è potuto tornare a casa sua, a Ilium, stato di New York, dove si è sposato, ha avuto due figli, ed è diventato ricco.
Ma continua a viaggiare nel tempo, e continua a ricordare quei fatti, lui, testimone oculare di uno degli episodi più assurdi di quella già di per sé assurda guerra, come assurde sono tutte le guerre.
Ecco quindi che nel romanzo si intrecciano dimensioni temporali diverse, proprio come la concezione del tempo dei tralfamadoriani e vediamo Billy ora nella battaglia delle Ardenne, ora in compagnia dell’attrice Montana Wildhock, ora a casa sua, con la moglie, o ancora ricoverato in ospedale nel Vermont dopo un terribile incidente aereo, mentre si appassiona ai libri dello scrittore di fantascienza Kilgore Trout.
Quest’omino buffo e insicuro, che ogni tanto, senza sapere il perché, scoppia in lacrime, si trova a vivere avventure del tutto eccezionali ma porta sempre dentro di sé il ricordo di Dresda e della guerra, una guerra in cui sul fronte furono mandati ragazzini imberbi, giovanissimi, bambini, la crociata dei bambini, appunto.
Vale la pena segnalare che, nel 1972, il regista George Roy Hill ha realizzato una buona trasposizione cinematografica, “Mattatoio n. 5”, che merita di essere ricordata sia per l’adesione al romanzo, cosa rara, soprattutto quando si tratta di un romanzo apparentemente così caotico, sia, soprattutto, per la colonna sonora di Glenn Gloud che esegue variazioni di musiche di Bach al piano e all’organo.
In ogni caso, non stupisce che Mattatoio n. 5 sia diventato da subito uno dei libri cult della controcultura degli anni ‘60 e ‘70.
Qui, infatti, il realismo grottesco si trasforma in critica politica e sociale, mentre la descrizione dei fatti bellici, dei soldati (fantastico il passaggio sui militari americani e sulla società americana in generale, completamente “contro” la retorica dell’epoca) sono manifesti di un pacifismo partecipato e concreto, non sbandierato per moda o preconcetto ideologico. La fantascienza in Vonnegut è strumentale ad una interpretazione della cruda realtà perché “l’orrore non si racconta con l’orrore; l’orrore lo si racconta mostrandone l’imbecillità che ne è la matrice”.
Un libro impegnato, dunque, ma anche una sequela di episodi divertentissimi, di gag vere e proprie, sempre raccontate in maniera irriverente e schizofrenica. Nessun tema sembra essere dimenticato, persino (o forse soprattutto) la religione: in uno dei libri di Trout, Il Vangelo dello spazio, un extraterrestre scende sulla terra per studiare il cristianesimo e capire come mai per i cristiani è così facile essere crudeli. E arriva alla conclusione che tutto dipende dal fatto che i Vangeli sono scritti in maniera molto trascurata e sciatta; il loro intento era di insegnare alla gente ad essere umile e misericordiosa verso il prossimo ma, alla fine, nel narrare il martirio di Cristo, il loro messaggio è riassumibile semplicemente in questo “Prima di uccidere qualcuno, accertatevi bene che non abbia relazioni importanti”. Cristo non era la persona giusta da linciare, le persone giuste da linciare sono quelle che non hanno relazioni importanti!!!
Al di là dello stile mai banale e della varietà di personaggi e temi, il merito principale di Mattatoio n. 5 è senza dubbio l’aver ricordato un atrocemente vero episodio della seconda guerra mondiale che per molto tempo è stato misconosciuto, senza sensazionalismi, vuoto pietismo e retorica. Alla guerra, a qualsiasi guerra, si può sopravvivere ma non la si dimentica, non si è più quelli di prima e l’orrore vissuto continua ad essere presente in ogni momento, non è passato, è sempre qui e ora e condiziona le esistenze future. Vivere un simile trauma può mettere in discussione la possibilità di scelta, far dubitare sul libero arbitrio e farci pensare che forse i tralfamadoriani hanno ragione: siamo tutti insetti intrappolati in un blocco d’ambra, non possiamo fare altro che vivere l’oggi e ciascuno “deve fare esattamente quello che fa”.
Così va la vita.