Non si può dire che in questi ultimi anni Annie Clark – classe 1982, per molti St. Vincent – sia stata con le mani in mano. Il successo di Strange Mercy le ha dato la dose di visibilità giusta per permetterle di collaborare con il suo maestro David Byrne in Love This Giant, uno degli album più belli e sorprendenti del 2012. Poi, nel biennio successivo, grazie al fortunato St. Vincent, Annie ha fatto incetta di premi (il Grammy 2015 per il “Best Alternative Album”) e collaborazioni, la più importante delle quali è stata l’aver cantato una canzone (“Lithium”) assieme ai Nirvana superstiti (Dave Grohl, Krist Novoselic e Pat Smear) durante la loro introduzione nella Rock and Roll Hall of Fame. Era il 10 aprile 2014 e molti si sono definitivamente accorti di St. Vincent in quel momento, tanto che da lì in poi l’abbiamo vista un po’ dappertutto: al Saturday Night Live o al Late Night With Seth Meyers; sui rotocalchi, per via delle sue relazioni con Cara Dellevingne e Kristen Stewart; come testimonial della Ernie Ball Music Man, per la quale ha progettato una chitarra concepita apposta per le donne; al cinema, come regista nel film antologico XX; e nel ruolo di ambasciatrice del Record Store Day 2017.
Non c’è quindi da stupirsi se una tale sovraesposizione ha provocato in Annie una sorta di crisi di identità, alla quale ha cercato di dare risposta attraverso la cosa che più le riesce meglio: comporre e suonare musica. Realizzato assieme a Jack Antonoff, al momento il produttore più richiesto sul mercato (Lorde, Taylor Swift e P!nk, per limitarsi al solo 2017), Masseduction è uno strano album Pop che racconta cosa succede quando ci si sente fuori posto in qualsiasi luogo ci si trovi. Perché, se è vero che la patina glamour di Hollywood non ha fatto presa fino in fondo in Annie, una ragazza con i piedi ben piantati per terra, nata in Oklahoma da una famiglia come tante e che quando può va a dare una mano alla sorella nella sua tavola calda, è anche vero che a Tulsa non si sente completamente realizzata, perché i suoi orizzonti sono più ampi rispetto a quelli di un qualsiasi altro abitante della sonnacchiosa provincia americana e per riuscire a esprimere pienamente il proprio potenziale sente il bisogno di andarsene e lasciarsi tutto alle spalle: prima a Boston, al Berklee College of Music, e poi nella frenetica New York. Il risultato, però, è non riuscire a chiamare “casa” nessuno di questi posti.
Ovviamente, non di sola solitudine è abitato Masseduction. Anzi, una buona parte dell’album Annie la dedica a tratteggiare un impietoso ritratto del jet set hollywoodiano, pieno com’è di ipocrisia (“Massueduction”), ostaggio dell’apparenza fine a se stessa (“Losageless”) e tormentato dall’ansia, da cui deriva un utilizzo scellerato di prescripion drugs (“Pills”). È in queste canzoni che il lato più Pop di St. Vincent esce fuori in maniera più decisa e dove il suo stile chitarristico, che ricorda molto da vicino quello dell’ex King Crimson Adrian Belew, ha modo di esprimersi in pieno.
Ma il vero centro dell’album è un altro: è nella cronaca spietata di una smisurata solitudine che Masseduction trova il suo senso. St. Vincent, grazie a uno straordinario rigore compositivo e a un calcolato utilizzo degli strumenti, riesce a racchiudere in ballate pianistiche formalmente perfette un intero caleidoscopio di sentimenti, i quali, di volta in volta, prendono il soppravvento colpendo l’ascoltatore senza fare prigionieri. E se in “Happy Birthday, Johnny” Annie fa trapelare un pizzico di delusione raccontando di quel vecchio amico che l’ha accusata di essersi concessa troppo facilmente al successo, in “New York” l’addio a un amore perduto è intriso di un senso di abbandono così forte che è difficile rimanere indifferenti. Solo un classico come “The Only Living Boy in New York” di Simon & Garfunkel è riuscita a rendere altrettanto spettrale, una vera fortezza della solitudine, una città da 9 milioni di abitanti come la Grande Mela.
Non era facile per Annie Clark eguagliare il successo di St. Vincent e confermare le molte aspettative che durante questi anni erano state riposte in lei. Masseduction non solo ci riesce, ma ci consegna anche un’artista finalmente matura, al massimo delle proprie potenzialità come autrice e interprete, che ha appena realizzato probabilmente l’album migliore e più compiuto della propria carriera.