Hey, è Mank!
Chi?
Mank, Herman J. Mankiewicz, lo sceneggiatore che assieme ad Orson Welles ha dato vita a quel capolavoro di Quarto Potere!
Ah, quel Mank!
Sì, Mank, anche se si disputa da sempre su chi dei due abbia davvero creato e sceneggiato il film, con il primo a rivendicarne l'origine, il secondo a prendersi il merito della forma.
Hey, è Mank!
Mank?
Sì, Mank, il nuovo film di David Fincher che Netflix vuole produrre.
Che idea, raccontare dell'uomo rimasto nell'ombra dietro Quarto Potere, quello che Orson Welles ha oscurato con il suo esordio strepitoso.
Un'idea che girava fra le mani di Fincher da trent’anni. Opera del padre e ora, come un film nel film, dopo tanti no, è riuscito a trovare chi glielo produce.
Vallo a dire a chi pensa che Netflix sia la morte del cinema!
Vai a fargli vedere tutti i progetti che hanno e che ruotano attorno a uno come Welles!
Hey, è Mank!
Mank?
Sì, Mank! È disponibile su Netflix e ora basta trovare la serata giusta per goderselo.
Pronta?
Sì, eccolo, Mank!
Mank il film in bianco e nero che sembra uscito direttamente dagli anni '40, che non li ricorda e li omaggia soltanto, ma se ne appropria, si cala e ci cala in quell'atmosfera, in quei film fumosi e parlati di un tempo.
Quelli che riconosci fin dall'audio, presente?
Dalla musica, dai dialoghi pastosi…
Hey, è Mank!
Mank?
Sì, il Mank interpretato da quel trasformista di Gary Oldman che si trasforma pure qui nei panni di un'irriconoscibile sceneggiatore alcolizzato ma geniale, sovversivo e amato, finché non eccede più del necessario.
Dedito ad ogni tipo di scommessa, a far impensierire una moglie devota, viene assunto da Welles, il giovane brillante che chissà come è riuscito a strappare alla RKO un contratto inimmaginabile: carta bianca su un film da scrivere, dirigere e interpretare. Il suo primo film!
E lui prende Mank, quel Mank, e decide di dargli una ripulita, di isolarlo a Victorville con la sua gamba rotta, di dargli 60 giorni di tempo per scrivere il suo film.
E Mank se ne esce con Quarto Potere, che affonda a piene mani in certe sue conoscenze, in certe sue esperienze con chi ha soldi, potere, una bella attrice al suo seguito e un impero di carta capace di influire sulla politica neanche fossimo ai giorni delle fake news di oggi.
Sì, William Randolph Hearst.
Hey, è Mank!
Il film Mank, quello che lascia tutti senza parole ma che a me ha lasciato un po' di amaro in bocca.
Non per il comparto tecnico, no.
Quello è da applausi, quello è una maniacale trasposizione di tempi, temi e modi di fare cinema che solo un vero regista sa trattare.
Non per gli attori, dalle spalle angeliche di Lily Collins a quelle più sardoniche di Amanda Seyfried, passando per il vocione di Tom Burke e finendo ovviamente con lui: Gary Oldman, la cui voce chissà perché fatico a reggerla. Colpa del timbro, delle vibrazioni, ma nonostante questo, la vedo e la sento in tutti i sensi la sua bravura in quel monologo da ubriaco, in quelle sue tirate, in quei suoi sguardi.
No, non è nemmeno per lui che la sensazione di amaro non se ne va né per quei tanti piccoli comprimari, quei personaggi secondari tra mogli e infermiere e fratelli e segretarie che riempiono la scena e gli danno calore.
È perché in questa ricostruzione perfetta, se mancano le basi ci si perde. È richiesta preparazione, per il ritmo sostenuto, per i nomi, i fatti, le vicende coinvolte.
La ricostruzione a ritroso che segue quella del film che dalle mani di Mank uscirà, stordisce nella sua velocità, nel suo immergerci senza paura in questa Hollywood e solo a metà strada ci si trova a proprio agio.
Manca così il cuore, ecco, che fa capolino solo nel finale, solo in quella cena circense, in quello scontro fra giganti ravvicinato e a distanza di giornalisti.
Il cuore che Quarto Potere cercava di indagare e di capire, nascosto dietro una parola, e che qui nonostante il nome di Mank sia sulla bocca di tutti e per tutto il tempo, ancora sfugge.