Alessia Zappamiglio, bresciana trapiantata a Bologna, è arrivata all’esordio discografico (per il momento non ancora sulla lunga distanza, visto che si tratta tecnicamente di un Ep) a coronamento di un percorso iniziato nel novembre 2018, con la pubblicazione del singolo “Gli uomini elettronici”. Sono poco più di tre anni ma è ormai un’intera vita, se consideriamo l’accelerazione quasi insostenibile dell’epoca dei Social, la pandemia e tutte le sue conseguenze. Eppure, nonostante tutto, è stato un percorso coerente e sereno, che è servito per maturare e per prendere confidenza nei propri mezzi.
Manifesti e immaginari sensibili (titolo, by the way, che sembra uscito dalla discografia di Paolo Benvegnù), sei canzoni per una ventina di minuti di musica, mette insieme gli ultimi tre singoli usciti, tra aprile e novembre dell’anno appena trascorso, e li unisce a tre episodi inediti, un lotto nel complesso omogeneo ma allo stesso tempo sufficientemente variegato al proprio interno, che prova con convinzione a tracciare una strada per uscire dal pantano in cui sembra essersi ficcato ultimamente il cosiddetto Indie italiano.
C’è il songwriting più che convincente a cui ci aveva abituato, in uno spettro stilistico che prende le mosse dal passato recente di “Erasmusplus” e “Bagno Paradiso” ma sembra allo stesso tempo recuperare le suggestioni più scure e smaccatamente rock dei primissimi singoli.
Accompagnate dalla produzione illustre di Marco Bertoni (Lucio Dalla, Demetrio Stratos, Gianna Nannini, Subsonica, tra i vari nomi con cui ha collaborato) queste canzoni sanno essere tese e rabbiose ma anche innocenti e delicate, un equilibrio perfetto tra chitarre e Synth, l’elettronica come collante a tenere insieme sezione ritmica e linee vocali, un feeling generale di urgenza e di vita reale, lontane da una certa ormai triviale superficialità It Pop.
Canzoni autobiografiche, ma un’autobiografia di cui linguaggio poetico sfuma i contorni, lasciando sì che emerga una certa crudezza (i cessi sporchi di urina di “Autostrade”, l’anonimato squallido ma rassicurante di “Giardini pubblici”) ma che sa anche allargare gli orizzonti in lunghi viaggi immaginati che dal centro di Ferrara permettono di intravedere scorci di Oriente (“India”).
Contenuti musicali vari, dicevamo prima, dall’incedere scuro dell’opener “Autostrade”, che sembra guardare dalle parti di Giorgieness, passando per il ritornello anthemico di “Giardini pubblici”, una “India” che richiama a tratti Motta, la ballata “Con la tua saliva” che rivede in chiave romantica la lezione di Calcutta, la cassa dritta di “Baby balla balla”, apparentemente liberatoria ma con un retrogusto di inquietudine che forse spiega l’amore adolescenziale di Alessia per i Joy Division, una “Manifesti”, in chiusura, che riassume il senso di questo breve viaggio e che ancora una volta presenta un ritornello particolarmente indovinato.
Un esordio che ha il difetto di essere troppo breve, anche se al momento offre motivi sufficienti per giudicare Miglio una delle voci più interessanti della nostra scena indipendente, come ha dimostrato anche il suo passaggio all’ultima edizione di Musicultura. Se siete stanchi di come stanno andando le cose in questo campo, credo che qui ci sia abbastanza freschezza da poter recuperare un po’ di ottimismo.