Da qualcuno considerato il miglior lungometraggio a firma Woody Allen, Manhattan, presentato fuori concorso al 32° Festival di Cannes, ha fatto incetta di critiche positive e di premi, tra cui due Oscar (miglior attrice non protagonista a Mariel Hemingway, miglior sceneggiatura allo stesso Allen e a Marshall Brickman) e un Golden Globe come miglior film drammatico. Girato in uno splendido bianco e nero e avviluppato dalle musiche senza tempo di Gershwin, (eseguite dalla New York Philarmonic diretta da Zubi Mehta), il film narra la complicata storia d’amore fra il cinico quarantaduenne Isaac Davis, autore televisivo reduce dal divorzio con la prima moglie, e la diciassettenne Tracy, giovane liceale, ingenua, idealista e piena di vita. Protagonisti del film sono New York, sul quale si posa lo sguardo romantico della fotografia di Gordon Willis, e una sceneggiatura irresistibile, in cui si alternano e si fondono tenerezza e ironia. Il finale, in cui Isaac fa il bilancio della sua vita, chiedendosi per cosa valga la pena vivere, non solo è una delle scene cult più amate del regista newyorkese, ma trasmette, con drammatica veridicità, il senso di incompiutezza di un intellettuale infelice e di un uomo complicato e prostrato dalle nevrosi.