Il 7 settembre 2018 ci lasciava Mac Miller, giovane promessa del rap americano.
A soli 26 anni, un’overdose letale di fentanyl metteva fine alla brillante carriera di un “great musician, great writer”, come lo ha definito Kendrick Lamar. In soli sette anni, Miller è arrivato a definire in modo inequivocabile il proprio stile, realizzando collaborazioni con il meglio dell’attuale scena americana: dal premio Pulitzer Lamar a Tyler, The Creator ad Anderson Paak.
Ripercorriamo, in cinque tappe, la strada al successo dell’“eroe bianco del rap”.
Prima ancora che esca il primo disco, Mac Miller è già famoso. Con il singolo “Donald Trump” supera le novantasei milioni di visualizzazioni su YouTube e l’arrivo, nel 2011, di “Blue Slide Park” non corona che il sogno di un assodato numero di fan: a soli 19 anni Miller si colloca al primo posto della US Billboard 200. Era sedici anni che un album di debutto non otteneva tale posizione.
La critica però non esprime grandi apprezzamenti: niente di rivoluzionario, solite storie di droga, soldi e donne. Tuttavia, nella prospettiva di un giovane qualunque c’è qualcosa che fa presa. Con piglio deciso e un ritornello molto catchy Frick Park Market ci introduce nel quotidiano di un adolescente che, per quanto esasperato, non è affatto circoscrivibile ai soli bassi fondi.
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Sono passati due anni e Mac Miller ha stretto importanti amicizie. Senza mettere da parte il flow distintivo che lo accompagnerà fino alla fine, in questo disco gioca un ruolo determinante la produzione di Flying Lotus, Pharrell ed Earl Sweatshirt. Figurano, inoltre, importanti featuring: Action Bronson in Red Dot Music e ScHoolboy Q in Gees. Testi pesanti abbinati ad atmosfere più psichedeliche ed elettroniche: è il caso di Watching Movies.
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Eccoci nel 2015. Il terzo album rappresenta una svolta lirica e personale: Mac Miller si distacca ancora di più dai contesti stereotipati dell’hip hop per cantare vicende intime. Successo, depressione, dipendenze e il recupero da queste sono l’oggetto di un disco che lancia Miller nell’olimpo dei singer song writers, laddove genere e sound sono accessori.
Ce lo conferma 100 Grankids
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La storia d’amore con la celebre Ariana Grande - il cui distacco lo segnerà nel profondo – lo porta ad esplorare le sfere legate alla sensualità e femminilità. Oltre alla cantante americana, fanno capolino grandi nomi: Bilal, Anderson Paak, Ty Dolla Sign, Ceelo Green e Kendrick Lamar. Ecco che Miller ci regala soluzioni funk e jazz da brividi. Emblema di questo nuovo sound è Stay:
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“In my own way, this feel like living / Some alternate reality / And I was just drowning, but now I’m swimming” (Come Back to Earth)
La parabola artistica di Mac Miller termina con una debole nota di speranza. Da una parte la possibilità di ripresa, dall’altra la più grande difficoltà a guadare le acque della dipendenza: la solitudine. Purtroppo Miller non ce la farà ma, laddove la sua carriera si interrompe, avrà raggiunto il proprio picco espressivo. L’invadenza originaria del rap lascia posto ad un elegante spoken word e a notevoli qualità canore. E non c’è posto per l’autocommiserazione: Miller ci lascia una testimonianza di grande valore umano su cui ballare e lasciarsi andare. Da What’s the Use – con un intro di Thundercat -che faticherete a dimenticare- a Ladders e Small Worlds.
Mai Miller suonò così bene come in “Swimming”.
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