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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Luka
Suzanne Vega
1987  (A&M)
AMERICANA/FOLK/SONGWRITER
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08/06/2020
Suzanne Vega
Luka
Una forma nobile d’arte, la canzone popolare che si fa veicolo di denuncia, che costringe a pensare a quei bambini che, come Luka, vivono un incubo, una lenta discesa negli inferi dell’infanzia abusata

Davanti a casa, a Spanish Harlem, quartiere “difficile” di New York, dove la giovane Suzanne si è trasferita coi genitori dalla California, ci sono sempre dei bambini che giocano. Fanno chiasso, come è ovvio che sia, provano lo skateboard, tirano calci a una lattina, si scambiano figurine dei giocatori di baseball. Sono allegri e si divertono un mondo, nonostante tutto intorno sia degrado, povertà e violenza. E’ la spensieratezza dell’infanzia, quell’età inconsapevole alle storture del mondo, popolata da bizzarre fantasie e da piccole esaltanti scoperte.

C’è un bambino, però, che se ne sta in disparte, solitario, gli occhi tristi, appena velati di lacrime. Suzanne lo vede spesso, e si chiede chi sia quel ragazzino che guarda nel vuoto, che talvolta parla tra sé e sé, come fosse avulso dalla realtà circostante, come se quella strada, quegli amici, quelle ore di svago appartenessero a un universo parallelo.

Quel bambino, che ha toccato nel profondo l’animo di Suzanne, che l’ha costretta a riflettere sulla vita e a porsi domande prima del tempo, qualche anno dopo avrà un nome: si chiamerà Luka e sarà il protagonista di una bellissima canzone, una hit da milioni di ascolti che compenserà in eterno l’ingiustizia di quello sguardo triste, di quel dolore nascosto in una feroce solitudine.

Mi chiamo Luka, vivo al secondo piano, vivo sopra di voi, si, penso che mi abbiate visto prima”. Inizia così uno dei brani di punta di Solitude Standing, secondo disco e clamoroso successo internazionale di Suzanne Vega, una giovane cantautrice folk/pop che si inserisce nella grande tradizione del cantautorato femminile (quella che ha come capostipite Joni Mitchell) a fianco ad altre straordinarie artiste del momento, come Tracy Chapman e Shawn Colvin.

Memore di quel ricordo d’infanzia, la Vega scrive una canzone dolorosissima, che affronta il tema difficile degli abusi sui minori. Una hit che ascoltano tutti e tutti cantano, magari sotto la doccia; una canzone, però, capace di risvegliare le coscienze, di mettere il dito nella piaga e sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema troppo spesso taciuto. Una forma nobile d’arte, la canzone popolare che si fa veicolo di denuncia, che costringe a pensare a quei bambini che, come Luka, vivono un incubo, una lenta discesa negli inferi dell’infanzia abusata, che cercano nella solitudine una via di fuga alla paura (E se chiedete ecco cosa dirò / che non è affar vostro comunque / Penso che mi piacerebbe star da solo / Con niente di rotto).

Se con l’omonimo esordio del 1985 il mondo si era accorto di questa delicata songwriter, capace di toccare le corde dell’anima con il suo folk gentile e le sue parole potenti, Solitude Standing definisce per sempre la cifra stilistica della Vega, una delle interpreti più coraggiose e sincere del movimento neo folk, insensibile alle lusinghe del rock business, capace di plasmare con modernità la materia, continuando a mantenere lo sguardo lucido sulla società e sul mondo interiore dei sentimenti.

Una carriera punteggiata da canzoni che evitano la logica frusta del binomio cuore/amore, cliche’ di tanto inutile cantautorato, ma che sanno indagare senza filtri nell’animo umano, suggerendo alle coscienze che, oltre a Luka, nella vita c’è tanto dolore, personale e universale, e che il mondo degli ultimi è, purtroppo, il più popolato.


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