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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/03/2019
The Freewheelin' Briozzo
Lui quella sera era un lampo e guardarlo era quasi uno shock
La storia della canzone italiana è costellata di grandi storie che, per tantissimo tempo, hanno costituito l’alternativa più credibile ai testi d’amore.

Pensate al pericoloso slalom tra una bomba e l’altra, in un’Italia fiaccata dagli attentati, che mosse Venditti da Bologna a Roma o l’epopea strappalacrime con cui Guccini portò in trionfo la giustizia proletaria raccontando una vicenda avvenuta prima che qualcuno finalmente si decidesse a far arrivare in orario i treni. Poi è seguito l’avvento dei cantanti del riflusso a parlare per immagini e cose senza capo né coda, mi riferisco ai cori russi e la musica finto-rock, per non parlare di quello che è successo dopo e degli sproloqui che caratterizzano il presente. Ma le storie, finito il primato dei cantautori italiani, non è che sono cadute nel dimenticatoio. Semplicemente sono diventate più usa e getta, pronte all’uso, riflesso ed espressione di un’epoca meno angosciosa.

Stamattina hanno trasmesso alla radio “Amore disperato” di Nada, all’ascolto del quale ho pensato trattarsi dell’ultima storia con una trama vera e propria messa in canzone. “Amore disperato” è il brano con cui la cantante livornese è tornata al successo nel 1983. Si tratta di un pezzo molto interessante ma fortemente penalizzato da un andamento pop e apparentemente scanzonato, complice il giro di accordi elementare, il ritmo che non si capisce bene sia da intendersi veloce o dimezzato, i suoni di plastica tipici dell’epoca. Il pezzo racconta di una storia d’amore con un lieto finale ma è bello come ci si arriva dopo le descrizioni del modo di scoprirsi che hanno i due protagonisti.

“Amore disperato” è stato un vero tormentone di quell’estate e ricordo che andava fortissimo nel juke-box. Ma ripensarla in mezzo ai colossi pop balneari del 1983 del calibro di “Vamos a la playa”, “I like Chopin”, “Paris latino”, “Billie Jean”, “Do you really want to hurt me” o “Sunshine reggae”, fa un po’ di tenerezza proprio perché si capiscono le parole e si può seguire la vicenda. E il problema era proprio quello. Talvolta le casse del juke-box non consentivano una dizione impeccabile dei cantanti e, in più, la possibilità di ascoltare in silenzio nei luoghi pubblici non era così scontata. Magari ne coglievamo solo qualche verso, qualche passaggio, con la ripromessa di fare più attenzione alla volta successiva ma sapete come vanno le cose, in estate. Meglio non legarsi troppo alle persone e alle cose. Tutto è volatile, a partire dall’amore (disperato).