Lubomyr Melnyk è considerato un autentico innovatore nel panorama della musica contemporanea, avendo sviluppato un linguaggio pianistico unico e personale da lui stesso definito “Continuous Piano Music” e di cui ha dato un saggio efficace nel concerto Milanese tenutesi all’Arci Belllezza.
La personale tecnica sviluppata dal pianista di origine ucraina, si caratterizza per delle note suonate con un tempo velocissimo, così che si venga a creare quello che secondo molti critici musicali può defininirsi come un flusso perpetuo e cangiante che si basa anche su un peculiare uso molto assiduo, se non continuo, del pedale di risonanza per creare echi e riverberi; una creazione di cascate di note a flusso libero in onde sonore ipnotiche.
Sulla base di tale peculiare tecnica, il pianista nel 1985, ha stabilito due record mondiali: il primo relative all’esecuzione di oltre 19,5 note al secondo per ciascuna mano; il secondo avendo suonato tra 13 e 14 note al secondo per un'ora intera.
Secondo molte autorevoli voci della critica, nel melange musicale offerto dal pianista convivono diverse tradizioni musicali: accanto ad una sicura influenza del noto musicista Ravi Shankar, troviamo la riproposizione del linguaggio minimalista che si basa sulle trame insistenti e repetitive di cui sono stati alfieri Steve Reich e Philip Glass.
Melnyk medesimo riconosce quale sua fonte ispiratrice i lavori di un altra voce capitale del minimalismo quale è stato il compositore americano Terry Riley, in particolare il leggendario lavoro del 1964 "In C", che, a suo dire, gli “ha aperto il mondo".
Il compositore ucraino ha tuttavia raggiunto la “celebrità” in età matura, notorietà che, negli ultimi anni, lo ha portato ad esibirsi praticamente in tutto il mondo in location del tutto diverse tra loro, basti pensare che a breve si esibirà al celebre Café OTO di Londra e pochi giorni dopo presso la Queens Hall di Edimburgo.
Il pubblico milanese, grazie alla programmazione dell’Arci Bellezza, ha avuto la possibilità di partecipare a ben due concerti dell’artista, in quanto, essendo andato praticamente sold out il concerto delle 21:30, è stato aggiunto un concerto alle ore 19:00 per accontentare le numerose richieste, permettendo così al vostro cronista di parteciparvi.
Devo sinceramente dire che Lubomyr Melnyk risulta essere un personaggio molto particolare, oltre che per la figura ieratica "alla Rasputin”, anche per l’approccio con il pubblico; prima di ogni brano, infatti, ha ritenuto doveroso fare una breve presentazione dello stesso.
Tale modus operandi mi ha fatto tornare alla mente un concerto di musica classica a cui partecipai molti anni orsono, dove Paul Badura Skoda, un ottimo concertista, oramai giunto, come Melnyk, a una età venerabile, prima del recital pianistico che prevedeva l’esecuzione dell’opera n. 9 di Schumann, nota come “Carnaval”, presentò al pubblico presente in sala i singoli pezzi (22) di cui è composta l’opera.
Il programma eseguito da Lubomyr Melnyk al Bellezza è quello ultimamente portato in sala dal maestro, ovvero quattro brani, per un totale di circa un’ora e venti di musica.
Il primo brano risulta essere un inedito dedicato a “King Charles, the Martyr”, ovvero re Carlo I Stuart, decapitato dal Parlamento inglese con l’accusa di alto tradimento nell’ambito di quella che risulta essere passata alla storia come la “Guerra civile inglese”, che vide coinvolta da un lato la Corona Inglese, dall’altro lato le forze del Parlamento. Sullo sfondo della prima condanna a morte emessa sulla base di una sentenza emessa da un Tribunale nei confronti di un Re, si situò anche lo scontro tra la chiesa Anglicana e i seguaci del puritanesimo, che ebbe quale primo esponente Oliver Cromwell.
Melnyk, con parole “forti”, legate forse anche alla tradizione anglicana che venera Carlo I come santo e martire, e a cui ha dedicato diverse chiese e cappelle nel Regno Unito, ha affermato che la morte di Carlo è legata alla sua fede religiosa e che il brano in oggetto risultava essere la trasposizione musicale degli ultimi momenti della di lui esistenza. L'atmosfera risulta difatti, rispetto ai brani più conosciuti del musicista, più cupa e malinconica, pur mantenendo gli stilemi musicali tipici del medesimo.
Stilemi che hanno trovato piena espressione nel secondo brano proposto (in versione ridotta) ovvero “Butterfly”, dove il virtuosismo del pianista ha raggiunto l’apice del live. Come detto dallo stesso artista, "Butterfly" può essere considerato un manifesto della cosidetta “Continuous music”.
Sinceramente non saprei dirvi se, come affermato da Melnyk, sia tecnicamente più difficile suonare questo tipo di musica rispetto alla musica di Bach e Beethoven (permettetemi di nutrire qualche dubbio); tuttavia, quale che sia la verità, si parla di musica bellissima, evocativa e sicuramente di non facile esecuzione.
In questo brano di impostazione classica, il pianista, con un virtuosismo ancora integro nonostante l’età e alcuni acchiacchi dichiarati in apertura di concerto, ha permesso ai presenti di godere della sua “continuous music”.
Il terzo pezzo presentato è stato “Floating”, in cui Melnyk ha “dialogato” con uno strumento che appartiene alla tradizione musicale folk Ucraina: la “bandura”, uno strumento a corde a metà strada tra un liuto e la cetra, che viene suonata pizzicando le corde.
Per mezzo di un nastro preregistrato che riproduceva l’esecuzione su questo strumento di un virtuoso dello stesso, Ivan Tkalenko, il pianista ha proposto il brano che presenta un’anima folk tipica del paese di origine di Melnyk.
Sinceramente, non essendo particolarmente appassionato di musica folk, di qualsiasi latitudine essa sia, ho trovato questo brano come la parte meno coinvolgente del concerto.
Tutt’altre parole vorrei invece spendere sull’ultimo brano presentato, che risulta essere anche l’ultima fatica discografica di questo artista: “The Secret Thousands”.
Si tratta di uno dei brani più lunghi mai composti dall’autore, della durata di circa 22 minuti, dove si intersecano più livelli sonori che lo stesso Melnyk definisce come "musica per un film mentale" e che gli è costato qualche anno di fatica.
Anche l’ultima composizione proposta è stata oggetto di una lunga orazione introduttiva, dove Melnyk, appassionatamente, ha raccontato l’orrore e la tragedia della guerra in corso con parole molti forti sia contro i Russi sia con critiche nei confronti dell’Occidente che, a suo dire, non è stato messo in grado di comprendere l’immane tragedia in essere.
L’opera risulta difatti dedicata “all’eroismo dei soldati ucraini che continuano a combattere”.
Ora non volendo entrare in polemiche sterili e senza costrutto, l’amor di patria manifestato da Lubomyr Melnyk mi ha fatto tornare in mente un altro grandissimo compositore classico quale è stato Chopin, il cui atto di amore per la sua patria, avendo lui per la maggior parte della sua vita vissuto in Francia, venne trasposto nelle sue celeberrime "Polacche".
La musica di "The Secret Thousands" ci ha riproposto la poetica di Melnyk nella sua forma più conosciuta, ovvero questo flusso continuo di note che trasporta chi l’ascolta in un posto mentale dove, a differenza della realtà da cui la musica stessa risulta essere stata ispirata, è possibile godere della pace; e di questo non possiamo non essergli grati.