Nel 1989, i Cure sono una band adulta e smaliziata, che ha saputo uscire dalla nicchia degli esordi, diventando un fenomeno rock di prima grandezza, che vende tantissimo e riempie gli stadi. The Head On The Door (1985) e Kiss Me Kiss Me Kiss Me (1987) hanno portato la band di Robert Smith sul tetto del mondo, rompendo definitivamente con il passato segnato da lavori oscuri come Seventeen Seconds (1980) e Pornography (1982): non è più tempo di musica esistenzialista e atmosfere crepuscolari, si guarda alle classifiche, si ammicca al pop, si cerca il consenso planetario.
I fan della prima ora, però, storcono un po' il naso, e Robert Smith, che è un uomo intelligente e sensibile, sente di aver tradito, almeno in parte, la sua idea di musica, e di aver rinnegato quel male di vivere che era stato il motore dei suoi dischi più intensi e ispirati.
Esce così Disintegration, un disco che ricongiunge i Cure e i loro fan alla splendida tripletta degli inizi anni ’80 (Seventeen Seconds, Faith e Pornography) e che fin dal titolo esplicita gli intenti della band: disintegrare la nuova immagine acquisita con gli ultimi successi commerciali e ritrovare l’estro creativo di un tempo che sembra lontanissimo.
Il risultato è un’opera disperata, gonfia di commozione e tristezza, che evoca gli echi presbiteriani del passato, trasmutandoli, però, in canzoni che suonano più struggenti e nostalgiche che gotiche. In una scaletta pervasa da languori malinconici (Pictures Of You, Lullaby, Plainsong, Prayers For Rain) spunta anche Lovesong, tre minuti di delizioso pop, che suonano leggerissimi e addirittura frivoli se paragonati al complessivo mood dell’album. Una dichiarazione d’amore all’amata moglie Mary Poole, attraverso parole che possono sembrare semplici e banali, ma che sono in realtà un monologo del cuore, diretto e scevro da sentimentalismi.
La parole di Robert Smith giocano con un immaginario di pieni e vuoti, di presenze (“Whenever I'm alone with you You make me feel like I am home again”) e assenze (“However far away, I will always love you”), innescando consapevolmente, in un involucro di totale dedizione e appassionato romanticismo, anche un retropensiero malinconico, quel “se tu non ci fossi” che si cela fra le righe del testo e che, ad esempio, ha ispirato la splendida cover del brano, recentemente eseguita dalla cantante inglese A.A. Williams.
La canzone, pubblicata come terzo singolo estratto dal disco, ebbe, strano a dirsi, poco successo in Inghilterra, mentre scalò le classifiche americane, piazzandosi, unico brano dei Cure a farlo, al secondo posto di Billboard. Oltre alle numerose reinterpretazioni che, nel corso degli anni, sono state date alla canzone (le più celebri sono quella di Adele nel suo album 21 e quella dei 311, inserita nella colonna sonora del film 50 Volte il Primo Bacio), Lovesong è stata usata anche per una delle sequenze più intense di Disobedience (2018), un appassionante film sulla storia d’amore fra due donne nella comunità ebraica di Londra, interpretato da Rachel Weisz e Rachel McAdams, per la regia del grande cineasta argentino, Sebastian Lelio. Dateci un occhio, perché vi emozionerete alle lacrime.