Partiamo dall'inizio: è stato molto difficile sviluppare il progetto di Nulla è andato perso? Dalla scelta dei musicisti, al doverti proporre in prima persona nel tour e organizzare il tour stesso?
Difficile come ogni cosa, devi viverti anche le complessità, sopratutto quando decidi di andare avanti, di alzare l'asticella, di metterti in gioco. La scelta dei musicisti è stata difficile perché bisognava tener conto di due cose: la prima era che in qualche modo riuscissero a condividere lo spirito del progetto, oltre alla presenza spirituale di Rocchi nel progetto stesso. La seconda che, essendo musicisti di classe avessero anche loro la voglia,l o spirito e la follia di gettarsi in un progetto cosi impegnativo, essendo anche loro molto impegnati con le rispettive carriere artistiche. Fortunatamente mi hanno detto di sì. Musicalmente abbiamo subito trovato la giusta alchimia ma anche grosse difficoltà, con Enzo Onorato, alla organizzazione dei concerti. Trovare spazi per ascoltare musica stando seduti, promoter disponibili, convincerli che non era un classico concerto pop, in certi casi è stato facile, in altri un po’ meno; inizialmente l'idea era di chiudere un cerchio iniziato con la registrazione di VDB 23 in Sardegna con Claudio Rocchi e fare 5-6 concerti che poi alla fine sono diventati 26.
Come mai la scelta anacronistica di pubblicare un triplo live in un periodo dove un certo tipo di mercato opta per soluzioni di ascolto veloci e immediate?
Era un po’ una scelta obbligata. Io sono fatto cosi all’antica, fuori moda e fuori tempo… non faccio certo parte delle avanguardie... sono vintage e non si può piacere a tutti. Quella era la cosa migliore da fare. All'inizio si pensava addirittura di non produrre nemmeno il CD ma poi si è pensato che ai concerti l'avrebbero chiesto e si è deciso di farlo.
Forse è stata una mia impressione ma in questo disco ho sentito poca impronta rock. Come mai? Eppure nella tua lunga carriera ne hai suonato parecchio.
Penso che solo apparentemente sia il disco meno rock che abbia fatto; in realtà la matrice è indiscutibilmente quella, è un approccio alla vita, al modo di suonare che è ovviamente rock. Se oggi si pensa al rock, si pensa a chitarre distorte, quattro quarti e il batterista sudato. Per me sono rock, anche se definiti in maniera diversa, i Kraftwerk, Robert Wyatt e i suoi Soft machine,i Devo etc. Non si può limitare a quanti ampli Marshall hai sul palco, il rock è un linguaggio dell'anima. Sono però rimasto sorpreso che una rivista di rock per lo più classico mi abbia premiato come disco classic rock del 2017e abbia scovato quella parte sottintesa del disco. Pensa che non avevamo neanche un chitarrista sul palco!
Si è tornati un po' all'origine, quando i gruppi indie storici come i tuoi Litfiba pubblicavano i loro lavori con piccole ma agguerrite etichette indipendenti? Come è nata la collaborazione con la Contempo Records, storica etichetta fiorentina?
Diciamo che in effetti con la Contempo non ci siamo mai lasciati, a parte il periodo con la Polygram e i C.S.I. dove c'era un mitico personaggio, Stefano Senardi, che gestiva aèèunto la Polygram come una enorme etichetta indipendente, ed il Cpi nacque grazie alla sua collaborazione. Noi eravamo indipendenti per davvero. Ho ritrovato i ragazzi della Contempo in occasione del firma-copie di “Yassasin” dei Litfiba, loro stavano ristampando alcuni dischi di quel periodo e parlandoci abbiamo capito che avevamo ancora voglia di fare qualcosa assieme, e visto che avevo in mente il progetto di questo live è venuta fuori l'idea di produrre un manufatto artigianale bellissimo (che tra un po’ andrà in ristampa ma uscirà identico al primo) e ci siamo trovati subito d'accordo per creare questo gioiellino che, nella sua totalità, è una vera opera d'arte.
Riflettevo su come è cambiato il mercato discografico, prendendo spunto dalla pubblicazione de La mia generazione di Giovanardi, cover tratte dall'età dell'oro del rock italiano. In quel periodo le major investivano molto sul rock, uscivano bei lavori e giravano ottimi gruppi. Poi arrivò l'mp3, il download e i siti pirata e ora lo streaming .Oggi rimane solo il crownfunding?
Non rimane solo quello e non la vedo così in modo così pessimista. Ho vissuto in prima persona molti cambiamenti e questa mutazione radicale che sta avvenendo da una quindicina di anni a questa parte, ci sorprende o ci delude o ci fa sentire più soli, ma sono situazioni che si vengono a creare nei periodi di grandi mutamenti sociali, tecnologici, culturali. Tutto si rimette in discussione. Quello che sarà, almeno da parte mia, lo scoprirò non con timore ma con fiducia. Erano le avanguardie, a proposito di major, che creavano i micro cambiamenti, cercavano di capire chi poteva “essere pronto” ,chi aveva più potenzialità commerciali e mettevano i gruppi sotto contratto, quando il piatto era cotto e mangiato. Molti facevano il salto, altri non avevano gli attributi per gestire una cosa del genere. La musica continua comunque a circolare anche se certi media ci dicono che il mercato è asfittico e ci propongono la musica che interessa loro .Ma non è cosi. C’è tanta roba in giro da ascoltare e scoprire.
Il Cpi, in quel periodo, era molto attivo come produzioni di nuovi gruppi. Guardandoti indietro rifaresti le stesse scelte di produzione o magari ti saresti concentrato solo sui più validi, destinando loro maggiori risorse e attenzioni?
Mi rendo conto di come il Consorzio, ad un certo punto, abbia iper-prodotto artisti, e forse qualche disco si sarebbe potuto evitare. Ho sempre avuto un approccio leale con gli artisti che ho prodotto nel Consorzio: tutti avevano lo studio a Calenzano per registrare, almeno due video, un minimo di promozione ,le royalties riconosciute. Poi è chiaro che è la gente, il pubblico al concerto determina il tuo valore. Noi ti davamo gli strumenti poi dovevi camminare da solo. Abbiamo dato le stesse possibilità a tutti, scontentando qualcuno che forse meritava di più. Alla fine sono il talento e il giudizio che fanno la differenza, non era colpa del consorzio se uno vendeva 10000 copie e una altro solo mille. Non tutti hanno capito, qualcuno si è lamentato, ma io sono in pace con la mia coscienza.
Un’altra cosa che ho notato ultimante: esiste una rincorsa a celebrare dischi già usciti in precedenza, con tour dedicati o riedizioni con inserti aggiuntivi. Una moda cavalcata da grandi e piccoli gruppi internazionali e italiani. Come mai? Autocelebrazione, mancanza di idee o logiche di mercato?
Io personalmente non amo molto queste cose anche se oggettivamente mi ci sono ritrovato quando abbiamo festeggiato i trent’anni di E.E.E.P. dei CCCP; non sono riuscito a dire di no. Però dopo Roma e Firenze è venuto fuori qualche promoter interessato alla cosa e ho detto di no. Mi piace l'idea che nulla è andato perso, tutto ciò che è stato fatto è giusto che rimanga nei dischi, nei filmati. Anche se un giorno ci si dovesse incontrare con CSI per celebrare, che so, “Tabula Rasa”, non sarebbe la stessa cosa a distanza di anni. Ma mi rendo conto che se ce' la sincerità può essere un atto dovuto nei confronti della gente che lo desidera, o non ha avuto l'opportunità di vivere quell’epoca. Dopo Epica per anni non ci siamo visti né parlati; coi Litfiba lo stesso, erano almeno 22 anni che non suonavamo insieme ed io mi sono goduto 17 feste indimenticabili, quanti sono stati quei concerti. Ma si sapeva che era una cosa iniziata e che sarebbe finita lì. Io non escludo mai niente ma bisogna essere realisti. Poi parliamo chiaro: siamo tutti più o meni sui sessant’anni e non è facile rimettere insieme dei testoni cosi. Ognuno ha la sua vita, le sue abitudini.
Dopo anni di produzioni e ascolti,è difficile trovare qualcosa di veramente interessante. Le note sono quelle e le strade percorse anche. Come si può dare nuova linfa alla musica secondo te?
Francamente non saprei. È anche un problema che ho nel mio piccolo nel momento in cui mi metto a far musica. Spesso quello che compongo mi sembra di averlo già sentito o non mi soddisfa. Alla fine è un discorso emozionale, ti attacchi alla musica per quel motivo, senza essere romantico. La volontà e l’aspettativa di essere sorpresi a tutti i costi non sempre ti portano a trovare ciò che stai cercando. È vero che le note sono dodici ma a livello di suono si può fare ancora molto. Si fa ancora poca musica partendo dai suoni .Un tipo di ricerca si può fare dai rumori quotidiani che ascoltiamo ogni giorno nel contesto ambientale… è musica anche quella, senza scoprire nulla di nuovo. Forse ci renderemo conto dei tempi che stiamo vivendo e concretamente cercheremo nuove strade musicali, e, guarda, non parlo solo di musica industriale. Il debutto dell'amico Aiazzi narra di queste cose, è un esempio di suoni urbani.
Cosa farai nel futuro imminente? In questo periodo sei impegnato con i Deproducer e il progetto Botanica. Ci sarà un seguito con i musicisti di “Nulla è andato Perso”?
Noi lo speriamo. È stata un’avventura piacevole sorprendente per tutti noi. Ci siamo detti fermiamoci qui poi vediamo cosa succede. C'è una buona richiesta di concerti ma siamo tutti un po’ impegnati nei nostri progetti personali. Non so cosa succederà, se qualcosa deve nascere nasce dai concerti, dal condividere le esperienze. Ora sono in giro con i Deproducers ma c’è sempre l'idea di tirar fuori dal cassetto un album strumentale, perché sono da solo ed io non canto.