Mi fa piacere quando la casualità esprime un’attenzione filologica nelle connessioni di quello che ci succede perché tutto sommato amo l’ordine. Quando faccio dei lavori in casa vado in tilt perché vedere le mie cose a soqquadro o anche la polvere di gesso o di altri materiali per l’edilizia che si posa sul giradischi o sul pc mi fa sentire schiacciato dal destino. Le cose fatte bene poi sono un vero toccasana contro la depressione.
Oggi, per farvi capire, sono entrato in un bar a prendere un caffè prima di un incontro con gente che mi riporta almeno a esperienze che risalgono al 1984 ed ecco che alla radio hanno messo subito “Pride” degli U2, che è un pezzo che vi confesso mi piaceva davvero tanto. Soprattutto il video, con i bambini che spiavano nel cinema-teatro Bono che faceva quel suo acuto che ha fatto storia e poi lanciava il microfono in aria. Tutt’ora c’è gente che quando canta i suoi pezzi lo imita in quel gesto liberatorio.
Io degli U2 non ho mai capito come facessero a suonare in maglietta nel live di “Under A Blood Red Sky” perché da come esce il vapore dalle bocche sembra che faccia un freddo porco. E quando si sono messi a fare i messia di “The Joshua Tree” ho deciso che non li avrei più ascoltati perché di musica americana ce n’era già tanta senza il bisogno che degli irlandesi andassero a ingrossare le fila dei gruppi USA.
Oggi però quel ritornello impossibile da ripetere per degli umani come me e voi mi è rimasto in testa. Vedevo spesso il video di “Pride” durante le vacanze di Natale del 1984. Potremmo organizzare una rimpatriata con i compagni di scuola dei tempi e vedere se ci dà le stesse sensazioni di allora.
Ma se l’organizzate non sarò dei vostri, sappiatelo.