Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
01/07/2024
Le interviste di Loudd
Loren Kramar, 20/06/2024, Popup du Label, Parigi
In occasione del concerto parigino per presentare il suo splendido album d'esordio, Glovemaker, la nostra Barbara Vecchio è riuscita a intervistare Loren Kramar, eccelso artista, oltre che persona affabile e gentilissima.

Un attimo di esitazione m’aveva colta, in verità: macinare 1800 Km in poco più di 24 ore per andare al concerto d’un artista esordiente  in un piccolo locale parigino é effettivamente una follia.

Ma a volte é proprio la follia a regalarci  momenti indimenticabili: in effetti non solo ho assistito ad un concerto di un’intensità devastante ma sono anche  riuscita ad intervistare un artista incredibile, Loren Kramar.

Una voce da brividi e rasoiate, istrionico e commovente sul palco, squisitamente gentile e semplice in privato, Loren Kramar, losangelino al suo primo, splendido album, Glovemaker, é un artista da scoprire e, soprattutto, da non perdere di vista.

 

E’ quindi un piacere  condividere con voi la trascrizione di questa breve intervista, realizzata nel camerino di Loren Kramar del Pop Up di Parigi, davvero emozionata dalla sua presenza e dall’attesa di sentirlo cantare stasera.

 

Ho ascoltato il tuo disco, Glovemaker, un’infinità di volte perché é di una bellezza da togliere il fiato. L’ho scoperto grazie ad una bellissima recensione su Loudd, una webzine italiana, che anche tu hai letto e apprezzato (qui la recensione), dove si diceva tra le altre cose che la tua musica eleva il pop a livelli stellari. Una musica marcata da accenti soul, jazzy e blues. Se chiedessi a te di farlo, come definiresti la tua musica ?

Anzitutto ti ringrazio molto di essere qui. E’ incredibile perché, davvero, gli artisti che amo di più sono gli artisti soul e blues: Aretha Franklin, Bill Withers, amo Jacques Brel, Judy Garland, Nina Simone e amo molto anche Lou Reed. Allora come dire, non mi fisso molto sul genere ma potrei definirmi "a soulful pop singer", un cantante pop intriso di soul.

 

Il tuo album è talmente incredible, così intriso della tua intimità, di passione, così pieno di te nei testi che ho riflettuto su quanto, lavorando alla composizione di un disco, si da vita alla propria creatura, qualcosa che ci appartiene, che emana da noi stessi, poi improvvisamente l’album viene pubblicato e diventa un regalo per il pubblico. Come ti senti oggi ad esibirti in pubblico? Nudo, timido o felice di condividere il tuo essere musica ?

E’ incredibile questa domanda perché il giorno in cui il mio disco é stato pubblicato ho usato  esattamente questa espressione, ho detto ai miei amici: «Non mi sono mai sentito così nudo in vita mia».

Devo immediatamente ritornare in studio perché sono capace di fare di più, ho ancora talmente tante cose da dire. Devo osare di più, scavare più profondamente. Si, ero nervoso, ma nello stesso tempo quando ho iniziato ad esibirmi ho capito che non era per il fatto di condividere la mia intimità. Ero emozionato, questo si, di trovarmi di fronte al pubblico, avevo paura che la voce mi tradisse, avevo le farfalle in pancia. Ma non avevo paura di condividere delle informazioni personali, anzi, volevo farlo. Voglio condividere quello che é importante per me perché mi fa stare bene. Non è stato sempre così, a volte questi testi così personali mi facevano paura. Allora per rispondere alla tua domanda: nudo, si. Ma grazie a Dio!

 

Il tuo disco si intitola Glovemaker, come la title track presente nell’album. Perché questa parola "guantaio"?

Si, l’idea mi é venuta mentre scrivevo le parole della canzone. Non avevo nessun piano preciso, non mi interessava il concetto di guantaio anche perché chi  se ne frega di un  fottuto guantaio? Eppure, mentre stavo per finire la canzone, mi sono accorto improvvisamente che questa parola era il simbolo, la chiave di tutto l’album, di tutto il corpo dell’opera. Sto parlando dell’atto di creare con cura, con sensibilità quasi ossessiva la propria vita. Certo, quella del guantaio è solo un’immagine, ma è significativa perché non c’è nulla di più sensuale, perfetto e meraviglioso della cura minuziosa che richiede la fabbricazione di un guanto. Ci vuole sensualità, una cura estrema per i dettagli: lo stesso vale per le canzoni. Non mi piace dire di una cosa che sembra "fatta apposta per", ma la parola "guantaio" sembra fatta apposta per rappresentare l’arte. Fabbricare un guanto è un modo appasssionato e squisito di rappresentare la vita.

 

Nel primo pezzo del tuo album, "Hollywood boulevard", si parla di successo, di fama. Nella canzone sei il direttore del film, la stella nascente. Cosa significa per te il successo? Essere visibile o essere davvero, profondamente conosciuto?

Credo tutte e due, ma quello che davvero conta per me è il fatto di essere riuscito a sorprendere me stesso grazie a cio che ho creato. Ad un certo punto mi sono detto: "Si, ci credo, ci tengo così tanto, e il successo ne è la prova". Io aspiro ad avere un vero  e proprio legame affettivo con il mio lavoro, vorrei che fosse  la prova di ciò che sono: una persona sensibile, che lavora duramente ce la mette tutta e ha talento. Ho bisogno di crederci, fa parte della mia ispirazione.

Abbiamo tutti degli eroi,  dei grandi personaggi che ci accompagnano. L’arte é una sorta di club ed io voglio farne parte. Sono talmente riconoscente del fatto di avere talento, dell’interesse che il mio talento suscita perché, vedi, tutto questo da un significato alla mia vita. La fama, chi se ne frega! Amo Hollywood per carità, il red carpet é eccitante, amo i premi e tutta la ridicola simbologia del successo. Mi eccitano queste cose, credo faccia parte della cultura pop.

La canzone "Hollywood Boulevard" dice anche questo "guardami, ho delle fantasie ridicole, le abbiamo tutti, non importa, voglio divertirmi, grazie Hollywood, perché fa viaggiare i pensieri, rende la tua immaginazione immensa come il mondo". Al pubblico piace questa canzone perche é bello credere in qualcosa, sono certo che si dicono "Dio mio, ma guarda un po’ sto stronzo, c’ha creduto davvero! Mi piace!". Io amo profondamente la musica, quando ascolto questa canzone mi dico che anch’io ho voglia di crederci come loro, perché il successso è questo: crederci. Ed io prego ogni giorno per avere la forza di farlo e di metterci tutto me stesso.

 

Tu sei un artista direi completo, pittore, attore, musicista: cosa significa la musica per te, come ci sei caduto dentro ?

Ti sembrerà  ridicolo ma ho iniziato a cantare quando avevo 4 anni. Ho scritto la mia prima canzone a 5 anni. Mio padre ha una bellissima voce pur non essendo un cantante professionista, ma anche mio nonno dal lato di mia madre, rumeno, aveva una voce incredibile. Mia nonna di Detroit, era una donna ebrea che adorava scrivere. Scriveva delle meravigliose cartoline d’auguri. Era una madre che si occupava della famiglia, non era una scrittrice professionista. E mia madre è talmente sentimentale, osservatrice. Insomma, sono cresciuto come in un guscio con queste persone, certo non professioniste, ma dotate di personalità incredibili e voci meravigliose. E quindi io ho sempre cantato. Poi quando ho finito l’università ho iniziato a dipingere, a scrivere dei pezzi, a registrare musica e poi oddio, la risposta diventa lunga… No, ok, diciamo pure che la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Ma quando ho finito l’universita mi sono detto: devi buttartici seriamente adesso, se vuoi continuare questa via e fare carriera. Dovevo farlo assolutamente, non potevo far finta che la musica fosse solo uno dei miei interessi, doveva diventare il centro della mia vita.

 

Nella recensione apparsa su Loudd leggo che alcuni dei tuoi pezzi evocano la bellezza celestiale della voce di Anhoni, Madrugada, Marc Hollis. Sei d’accordo con queste considerazioni ?

Oh my God! Marc Hollis é un eroe, semplicemente un eroe. La voce, il suo modo di sperimentare, di registrare e Anhoni, la sua voce é meravigliosa, troppo! Sono eroi, davvero. A me poi quello che interessa piu’ di tutto  é il "modo", il fatto di "crederci", come ti dicevo prima. Perché vedi, la voce meravigliosa di qualcuno che non ci crede è come una macchina meravigliosa senza autista, o peggio, con un autista incapace. Quindi ci vogliono entrambi: una voce meravigliosa, che è la macchina, mentre lo spirito, l’anima e la personalità sono il conducente. Esistono migliaia di voci splendide, ma spesso appartengono a cantanti noiosi, assenti spiritualmente. Poi arriva una Nina Simone, un Marc Hollis, Prince e lì tutto diventa un viaggio spirituale.

 

Anche la tua é una voce straordinaria. Quanto tempo e lavoro per renderla così com’é oggi?

E’ un lavoro che dura da tanti anni: prima ancora di diventare adolescente prendevo già lezioni di canto. Al liceo facevo parte di un coro gospel, continuavo i corsi di canto e teatro, musical, lavoravo sulla mia voce. Quand’ero bambino adoravo Whitney Houston: avevo 4 anni, ero davvero piccolo (ride). Mi ricordo di un’intervista divertente in cui lei diceva: "Adoro i cantanti: adoro i cantanti capaci di cantare". Io sono un cantante capace di cantare, anche se i miei amici ridono di questa frase. Voglio essere eclettico, devo esserlo, capisci? Per me é una cosa seria, io voglio essere capace di cantare tutto quello che desidero cantare e per poterlo fare lavoro molto e mi prendo cura della mia voce.

 

Un’ultima domanda prima di lasciarti. Che progetti musicali hai per il futuro, perché ne hai vero? Lo spero molto.

Oh si si si! Scrivo di continuo e sto già pensando a mille progetti ma più di tutto continuo a pensare a quali artisti vorrei invitare a partecipare al mio prossimo album. Ho già delle canzoni mie che sono pronte da registrare, ma non sto più nella pelle dalla voglia di lavorare con altri artisti.

 

Lauren, grazie mille per questa intervista. Ti lascio perché anch’io non sto più nella pelle dalla voglia di assistere al concerto di stasera.