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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
29/07/2024
Live Report
Loreena McKennitt, 26/07/2024, Teatro Arcimboldi, Milano
Loreena McKennitt regala un concentrato di bellezza unico, per una chiusura di doppio tour che ha confermato la statura enorme dell'artista nella qualità dell'esecuzione e nella gestine del rapporto con crew e fan.

Per Lorena McKennitt sembra  essere giunto il momento di guardarsi indietro e riaprire il cassetto della memoria: dopo The Road Back Home, il disco dal vivo che ritorna su quel repertorio “celtico” che ha segnato gli inizi della sua carriera (qui la recensione), sono arrivati, a pochissimi mesi di distanza l’uno dall’altro, i tour celebrativi dei suoi due dischi più celebri. E così, dopo le date primaverili dedicate a The Visit (in Italia l’abbiamo vista a Brescia e a Padova) ecco arrivare il ben più intenso tributo a The Mask and the Mirror, l’album che, esattamente trent’anni fa, ne consacrava il talento e ne aumentava i consensi anche dal punto di vista commerciale.

Il disco non è stato fatto oggetto di un box set ripieno di extra come nel caso del precedente, ma è stata rilasciata una versione con un’esecuzione integrale dal vivo risalente al 1994, una performance a San Francisco che era stata trasmessa alla radio ma che da allora era rimasta nel cassetto. Si tratta, comprensibilmente, di materiale di altissima qualità, che tuttavia poco aggiunge a quanto già sapevamo di canzoni che, negli anni, hanno sempre costituito l’ossatura portante di tutti i suoi concerti.

 

Quella di Milano è l’ultima data di un tour che ha ancora una volta omaggiato in maniera consistente il nostro paese (ben cinque date, anche in luoghi suggestivi come il Forte di Bard ed il Castello di Udine) e fa piacere constatare come la risposta del pubblico sia più che adeguata, nonostante sia fine luglio e la città stia cominciando a svuotarsi.

Pochi minuti dopo le 21 viene comunicato che, su richiesta dell’artista, non sarà consentito scattare foto ed effettuare riprese: un’indicazione che, perlomeno dov’ero seduto io, è stata osservata scrupolosamente, dando motivi di ottimismo a chi pensa che siamo ormai senza speranza in fatto di osservanza delle più basilari norme sociali.

 

Loreena McKennitt a questo giro è accompagnata da una band ad assetto ridotto, rispetto alla grandeur di certi tour del passato. Fatta eccezione per il batterista Robert Brian (che comunque ha suonato sull’ultimo disco in studio Lost Souls) gli altri sono i suoi compagni di avventura di sempre: Brian Hughes (bouzouki, oud, chitarra), Caroline Lavelle (violoncello, fisarmonica e flauto), Hugh Marsh (violino) e Dudley Philips (basso e contrabbasso). Come al solito, l’artista di Toronto si divide tra arpa, pianoforte, tastiera e fisarmonica, a seconda del particolare mood di ogni singolo brano.

L’impostazione è cameristica, priva forse della densità sonora che eravamo abituati a sentire anni fa, con arrangiamenti più “asciutti” e meno ricchi di dettagli, ma il fascino è comunque garantito.

 

La prima parte dello spettacolo presenta una selezione brani che spazia da The Visit in avanti, e che sono bene o male gli stessi che da anni compaiono nelle setlist dei suoi concerti. Si parte con “All Souls Night” e notiamo subito come la resa sonora sia ottima, ben lontana dai ben noti problemi a cui gli Arcimboldi ci hanno abituato. Semmai andrebbe sottolineato come i volumi non siano altissimi e come in alcuni momenti si sarebbe auspicato un tiro ed un impatto maggiori. Si tratta ovviamente di una scelta ben precisa: la batteria è ridotta al minimo e lavora soprattutto sui contorni, mentre Brian Hughes utilizza la chitarra elettrica solo in pochissime occasioni, lasciando tantissimo spazio a Hugh Marsh e al suo violino, doppiato magnificamente dal violoncello di Lavelle.

È dunque un concerto incentrato prettamente sugli archi e sui tasti, che sale di tono in quei momenti (pochi ma preziosi) in cui Loreena si accompagna all’arpa, quello che per anni è rimasto il suo strumento di riferimento, anche a livello mediatico.

 

Inutile dire che le esecuzioni sono di livello altissimo, sia che ci si muova nella tradizionale fase irlandese (“On a Bright May Morning”, “Ages Past, Ages Hence”, preceduta dal racconto della visita della grande mostra sui Celti a Venezia, nel 1991, a seguito della quale questo brano venne concepito, anche se poi è stato pubblicato solo nel 2018) sia che si esplorino sonorità orientali e mediterranee (“The Gates of Istanbul”, “Marco Polo”, la romantica ed intensa “Spanish Guitars and Night Plazas”), con il racconto arturiano di “The Lady of Shalott” e le citazioni omeriche di “Penelope’s Song” a costituire, comprensibilmente, i momenti più emozionanti.

Sulla prova vocale offerta, nulla da dire: se c’è una cosa che ha sempre impressionato della cantautrice canadese, è che la sua voce non sembra patire i segni del tempo: a 67 anni canta ancora come quando ne aveva 30, magari un po’ meno disinvolta sulle note più alte, ma senza aver perso nulla in precisione ed espressività.

 

Il primo set si conclude dopo una cinquantina di minuti, con una “The Old Ways” che vede per la prima volta i musicisti dilungarsi in una coda solista di grande efficacia (questa in effetti è una cosa che un po’ è mancata, ci sarebbe piaciuto ascoltare esecuzioni più dilatate dal punto di vista strumentale), dopodiché c’è una pausa che però dura quasi mezz’ora e che ha spezzato un po’ la tensione, almeno dal mio punto di vista. Non avendo suonato per così tanto tempo, forse dieci minuti sarebbero bastati.

Quando i sei ritornano, è la volta di The Mask and the Mirror, suonato nella sua interezza, seguendo la tracklist originale. C’è poco da dire su questo disco, da tempo considerato tra i classici della cosiddetta World Music: per Loreena McKennitt fu un momento decisivo, poiché per la prima volta si affrancava parzialmente da quell’universo celtico che aveva esplorato nei primi lavori, andando a raccontare epoche e tradizioni molto diverse tra loro, dal Medioevo cristiano all’Africa mediterranea, passando per la Spagna musulmana del 1400. Ne risultò un lavoro non solo ispiratissimo a livello di songwriting (da questo punto di vista, già The Visit si era fatto notare) ma anche musicalmente variegato, tanto da costituire un esaustivo manifesto di quello che poi sarebbe successo in seguito nella sua carriera (che tuttavia, con l’eccezione di The Book of Secrets, non avrebbe più conosciuto quei picchi di autentica bellezza).

L’esecuzione è serrata, senza pause tra un pezzo e l’altro, ed è superfluo dire che è stata meravigliosa. Dall’evocazione del mondo sufi di “The Mystic’s Dream”, fino alle citazioni shakespeariane di “Prospero’s Speech”, siamo spettatori di un percorso che in poco meno di un’ora va a toccare i testi di San Giovanni della Croce (la pianistica “The Dark Night of the Soul”), le leggende irlandesi (il classico “The Bonny Swans”, forse la sua composizione in assoluto più celebre, qui impreziosita da un bellissimo scambio di assoli tra Brian Hughes e Hugh Marsh), le affollate strade del Marocco (“Full Circle”, “Marrakesh Night Market”), i pellegrinaggi medievali (“Santiago”, ammantata di una piacevole atmosfera di festa, uno dei pochissimi momenti della serata in cui la band si è davvero lasciata andare) e le immancabili leggende celtiche (“The Two Trees”, che ha goduto di un’esecuzione veramente emozionante).

 

Dopo un tale concentrato di bellezza si potrebbe tranquillamente andare a casa, ma i nostri hanno ancora altra musica da regalare: ecco allora arrivare la splendida “The Mummer’s Dance”, che contribuisce ad alzare un po’ il ritmo, e soprattutto “Dante’s Prayer”, a mio parere una delle sue canzoni più belle, in un’esecuzione pianistica assolutamente da brividi, questa sera preceduta dall’accenno, full band, di un brano tradizionale ucraino. A chiudere, non senza aver ringraziato l’intera crew, senza la quale questo tour non sarebbe stato possibile, arrivano le suggestive atmosfere latine di “Tango to Evora”, degna conclusione di un concerto decisamente maiuscolo.

Adesso, come lei stessa ha annunciato dal palco, è tempo di una lunga pausa, per riposarsi dopo due tour veramente intensi e per scoprire “che cosa succederà dopo”. Ed il congedo dai fan è avvenuto poi nella maniera più grata possibile, con un lungo meet and greet, in cui ha concesso autografi e foto a chiunque lo volesse.