Non si può che iniziare da Gary Oldman per parlare del nuovo film di Joe Wright, “L’ora più buia”. Non che Wright sia un regista di secondo piano, anzi per quanto mi riguarda è uno dei più bravi e personali degli ultimi anni (per chi non l’avesse ancora visto consiglio il suo stupefacente “Anna Karenina”) ma l’interpretazione di Oldman di Winston Churchill è di quelle che vale da sola una intera carriera. Poco importa che invece sia uno degli attori più straordinari degli ultimi 35 anni di cinema e che curiosamente ha ricevuto molti meno consensi palesi e tangibili di quanto fosse lecito aspettarsi. Si pensi tra i tanti suoi ruoli al Sid Vicious in “Sid e Nancy”, al poliziotto corrotto e tossicomane in “Léon”, al Dracula di Coppola, a Beethoven in “Amata Immortale fino ad arrivare al Capitano Gordon nella trilogia del Cavaliere Oscuro di Nolan e al George Smiley della “Talpa” , suo primo e per ora unico Oscar come miglior attore (personalmente però il mio amore assoluto per Oldman nasce da un meraviglioso e sconosciuto ai più film del 1993 dal titolo “Romeo Is Bleeding”, in italiano “Triplo Gioco”, che nonostante una produzione di serie B si è conficcato indelebilmente nel mio cuore e nella mia memoria).
Il Churchill di Oldman è imponente, arguto, inquietante, irascibile, riflessivo, coraggioso, controllato al millimetro in ogni movenza, tic e parola pronunciata. L’occhio dello spettatore non riesce a staccarsi dal protagonista e ne rimane ammaliato fin dalla prima scena. E ancor più rilevante ed eccezionale si dimostra l’interpretazione dell’attore londinese considerato il cast di ottimo livello intorno a lui tra cui spiccano le due donne, l’intensa Kristin Scott Thomas (Clementine Churchill) e la brillante Lily James (la segretaria Elizabeth Layton).
La storia del film è il racconto di un preciso momento che ha cambiato il destino del mondo intero e che tante volte abbiamo visto riprodotto sul grande schermo (anche recentemente con un punto di vista “esterno” in “Dunkirk”). Wright conosce bene il rischio di una possibile ripetitività narrativa e visiva (lui stesso aveva raccontato nel suo riuscito “Espiazione” l’evacuazione di Dunkerque) e opta per una messa in scena ridotta, ancorata alla città di Londra, al Parlamento, alle stanze dove si deciderà il presente e soprattutto il futuro. La fotografia e le luci stabiliscono un senso di percepibile oppressione e di immanente inquietudine. Ma Wright, consapevole della strada voluta e intrapresa, concentra tutti gli sforzi nel creare sempre la miglior cornice possibile per le varie e irresistibili perfomance di Oldman, scena dopo scena, immagine dopo immagine.
Il vero neo del film è purtroppo una sceneggiatura per lo più ridondante e retorica che via via verso il finale perde di vista la rappresentazione concreta in favore di una visione eccessivamente sentimentale e poco equilibrata. Nonostante questo consiglio lo stesso di non perdersi “L’ora più buia” se cercate ancora nel cinema opere ben realizzate, ottimamente interpretate e, probabilmente come ben poche altri, centrate su alcuni momenti decisivi per la storia dell’umanità