Looking for Venera è il primo lungometraggio di finzione della regista kosovara Norika Sefa, autrice con alle spalle diversi corti e qualche documentario. Il film è stato premiato al Festival di Rotterdam dello scorso anno con il Premio della Giuria.
Sempre interessante immergersi in filmografie poco battute, fruire del lavoro di autori esordienti provenienti da paesi dove non è presente una produzione cinematografica molto nutrita o dai quali questa produzione incontra delle difficoltà ad arrivare fino da noi (in questo alcune piattaforme moderne ci stanno aprendo molti orizzonti, questo allo streaming va riconosciuto, è un servizio del quale in sala spesso non si può usufruire).
L'opera prima della Sefa è un film di un certo interesse, anche formale se vogliamo, al quale però manca qualcosa per lasciare il segno e far sì che lo spettatore imprima nella mente il nome della regista in modo da tenerne d'occhio le mosse future. È proprio il contesto poco usuale, nuovo e non inflazionato ad affascinare in misura maggiore in Looking for Venera, la microsocietà familiare kosovara qui ritratta porta in sé i germi di possibili riflessioni su un'istituzione patriarcale e maschile (maschilista) tutta da rielaborare, manca però quello spunto capace di attirare a sé lo spettatore in maniera completa. Il rischio è anche quello di creare una certa diffidenza verso prodotti che possono sembrare a noi più lontani (più come abitudine spettatoriale che non come reale distanza, il Kosovo è dietro l'angolo) inducendo magari lo spettatore meno curioso (e capitato di qua per caso a questo punto) a non tentare ulteriormente di percorrere la stessa via o una strada simile a questa.
Venera (Kosovare Krasniqi) è un'adolescente che vive in un villaggio del Kosovo vicino alle montagne, la ragazza abita in una casa troppo piccola e troppo affollata: con lei infatti ci sono la mamma Nora (Erjona Kakeli) e il papà Luan (Basri Lushtaku), almeno altri due fratelli più piccoli (ma nell'andirivieni di persone nella casa si perde un po' il conto), la nonna paterna (Fatushe Nushi), i vicini di casa, parenti e amici del padre che affollano a fasi alterne l'abitazione.
Venera segue un corso di inglese da un'insegnante privata, un corso al quale partecipano molti ragazzi, anche il luogo di studio è sempre affollato; qui Venera fa amicizia con la sua coetanea Dorina (Rozafa Celaj) nonostante (o forse proprio per questo) le due ragazze siano molto diverse l'una dall'altra. Venera è una ragazza molto chiusa, timida, parla poco e subisce una vita familiare molto severa e di stampo patriarcale, dove ogni piccolo scarto sembra essere giudicato fuori luogo e inammissibile; Dorina è invece molto più libera e vitale, cerca di divertirsi e fare esperienze compatibilmente al poco (quasi nulla) che la città offre.
Un giorno Venera, tornando a casa per le montagne, vede Dorina fare sesso con il suo ragazzo, da quel momento il legame tra le due giovani si intensifica e anche Venera, spinta dalla stessa Dorina, inizierà a cercare un'autoaffermazione nelle semplici cose della vita: un'uscita serale, una festa, un ragazzo, un vestito, magari il sesso, tutte cose che in casa sua non sono affatto ben viste.
Il film di Norika Sefa ci mostra una realtà che si porta ancora sulle spalle le conseguenze della guerra, con una cittadina che non offre nulla (e che la regista ci mostra solo per piccoli scorci di strade, fabbriche abbandonate, luoghi desolati), dura e non accogliente. A questa atmosfera già lugubre, per Venera si aggiunge una situazione familiare dalla mentalità molto chiusa che non le permette di sbocciare, di uscire da un guscio di silenzi e di anaffettività.
Il nodo di Looking for Venera è universale, è il momento della crescita, della ribellione dell'adolescente, visto però in un contesto in cui l'affrancarsi dai genitori diventa davvero difficile, nella fattispecie grazie all'inospitalità dei luoghi, dettata dal contesto storico a dir poco brutale, ma soprattutto a causa di un padre di famiglia poco aperto e a una madre succube del marito (comunque non violento e per alcuni versi anche bonario).
La Sefa gioca molto sulle inquadrature strette, pochi primi piani ma anche poca aria nelle immagini, scelta che acuisce il senso di claustrofobia dettato da questi luoghi affollati, dalla mancanza totale di privacy, l'incedere della narrazione è scarno, proprio come quei luoghi del Kosovo, arido come sembrano alcuni cuori che forse lo sono solo in apparenza, magnifica a questo proposito la scena in cui mamma e figlia ballano insieme di una danza liberatoria (che dura poco), il padre invece più concreto si dedica di continuo alla costruzione di una porta che sembra però non vedere mai la sua giusta collocazione.
In questo scenario il coming of age, l'incontro con l'altro sesso, l'apertura grazie a un'amica verso un nuovo pensare. Esordio nel lungo di finzione interessante per Norika Sefa, anche perché produzioni kosovare (e macedoni) come questa non si ha la possibilità di vederne molte, manca ancora qualcosa affinché la visione si trasformi da interessante a partecipe, avvolgente e coinvolgente (escluse alcune sequenze molto ben riuscite), Looking for Venera è però un bel trampolino di lancio, sperando in una crescita costante della regista kosovara.