In un’epoca in cui la nostalgia spesso sembra essere una stampella, Look Up di Ringo Starr sorprende ricordandoci che guardare al passato può talvolta generare qualcosa di fresco e allo stesso tempo commovente. Collaborando con T-Bone Burnett (la cui impronta è ben visibile su alcune delle più evocative produzioni roots degli ultimi decenni, una su tutte la celebrata colonna sonora di Fratello, dove sei? di Joel ed Ethan Coen) Starr esplora a fondo il territorio della musica country, un genere che ha amato fin dai giorni di Liverpool ma che non aveva più affrontato dai tempi del suo viaggio a Nashville del 1970, quando ha registrato Beaucoups of Blues con i migliori session men dell'epoca. Qui, però, il risultato non è una mera operazione nostalgica, ma più un’indagine su cosa significhi invecchiare con grazia facendo il musicista.
La produzione dell’album ha classico approccio alla T-Bone Burnett, discreto e al tempo stesso ricco di texture. Dalla malinconica pedal steel di “Time on My Hands” agli archi delicati che avvolgono la title track, gli arrangiamenti di Burnett offrono il perfetto sfondo per la voce unica e segnata dal tempo di Starr. E sebbene le canzoni siano state scritte nella maggior parte dei casi da Burnett, facendo di Look Up una sorta di gemello del suo The Other Side dello scorso anno, è però senza discussione il fatto che questo sia un album di Ringo. L’ex Beatle, infatti, infonde il suo caratteristico charme e la sua sincera genuinità in ogni traccia, rendendo persino i momenti più malinconici permeati da un profondo senso di pace e speranza.
Da un punto di vista tematico, Look Up appare come il lavoro di un artista pienamente consapevole del passare del tempo, ma senza esserne per questo intimorito. A questo proposito, l’unica canzone firmata da Starr (assieme al fido Bruce Sugar), la conclusiva “Thankful”, incarna perfettamente questo spirito. Nonostante il verso "And it's a beautiful day here in California" faccia stringere un po' il cuore all'indomani degli incendi che hanno devastato Los Angeles, è una canzone di gratitudine, che celebra le piccole gioie della vita e le amicizie durature. A 84 anni, le riflessioni di Starr su amore, perdita e resilienza hanno un peso che è difficile simulare. La sua voce, sebbene più limitata rispetto anche solo a qualche anno fa, è qui utilizzata come uno strumento a sé stante, grezzo ma espressivo, perfettamente in sintonia con il tono introspettivo dell’album.
Come ogni disco di Ringo Starr che si rispetti, il cast coinvolto è sempre di altissimo livello, dalle giovani stelle del bluegrass Billy Strings e Molly Tuttle alla grande Alison Krauss, dalle Lucius alle Larkin Poe, da veterani come Dennis Crouch, Paul Franklin, Mickey Raphael e Stuart Duncan all'immancabile cognato Joe Walsh degli Eagles. I virtuosismi di chitarra di Billy Strings in “Breathless” aprono l'album con un'inaspettata dose di spensieratezza, tanto che a tratti sembra di ascoltare i primi Beatles alle prese con il country, vuoi per la chitarra registrata al contrario che chiude il brano (e che fa capolino anche nella successiva “Look Up”) oppure per i caratteristici fill di batteria di Starr. Sebbene la sua performance sia più contenuta ed essenziale rispetto ai giorni d’oro dei Fab Four, sono momenti come questi che ci ricordano perché Starr rimanga uno dei batteristi più amati dagli appassionati dello srumento.
Ovviamente, gli ospiti non sono mero name dropping, ma ognuno è stato scelto da T-Bone Burnett in funzione del brano. Billy Strings interviene in maniera determinante in diversie canzoni, Alison Krauss aggiunge una nota di struggente bellezza alla conclusiva “Thankful”, mentre Molly Tuttle inietta un pizico di vitalità in “Can You Hear Me Call”. E anche se a volte il loro contributo può sembrare meno evidente, le Lucius e le Larkin Poe arricchiscono le canzoni con il loro tocco distintivo, conferendo loro un peculiare abito sonoro.
Se c’è una critica da muovere a Look Up, nonostante una scrittura a tratti ispiratissima, tanto che pezzi come “Never Let Me Go” e “Rosetta” sembano ottake country del Paul McCartney di Wild Life e Band on the Run, è che per certi aspetti l’album a volte appare fin troppo levigato. La produzione di Burnett, per quanto impeccabile, talvolta smussa quella ruvidità che aveva reso Beaucoups of Blues così affascinante. Tuttavia, questa è una piccola nota in una raccolta di brani altrimenti perfetta. Tracce come “Time on My Hands” e la title track mettono in mostra una profondità di sentimento rara nella musica contemporanea, e la capacità di Starr di abitare queste canzoni con sincerità e grazia è una testimonianza del suo talento duraturo.
In definitiva, Look Up non è solo un trionfo tardivo nella carriera di Starr; è una celebrazione del potere della musica di trascendere tempo e spazio. È un album che si sente radicato nella tradizione ma sorprendentemente moderno, una dimostrazione delle possibilità creative che emergono quando gli artisti abbracciano la loro storia guardando al futuro. Con Look Up, Ringo Starr dimostra che, anche nel crepuscolo di una carriera leggendaria, c’è ancora tanta luce da trovare.