La storia è nota: chiusa l’avventura con i Jam, Paul Weller svolta completamente pagina, appende la chitarra al chiodo, smorza la rabbia giovanile in pose dandy, e passa dal modernismo a un suono nuovo e avanguardistico, che fonde pop, jazz, soul e funky, declinati con classe e un piglio solo apparentemente modaiolo. Se, infatti, il passaggio dall’eleganza cheap dei cravattini e delle giacche nere attillate a un look dal vago sapore esistenzialista è evidente e definitivo, dietro i languori pop della musica degli Styles si nasconde una militanza politica sempre più apertamente schierata a sinistra, con liriche chiare, urticanti, dirette, che fanno proprie le istanze del collettivo Red Wedge.
Mocassini, cappuccino, polo e maglioncini a V, creano l’appeal esteriore per un suono audace, che aprirà alla successiva stagione dell’acid jazz. Affiancato di Mike Talbot, ex tastierista dei Dexy’s Midnight Runners, Weller dà inizio alla nuova avventura nel 1983, con l’EP Introducing The Style Council, antipasto saporito di soul (Long Hot Summer), canzone francese (The Paris Match) e R’n’B (Speak Like A Child), che mette subito in chiaro da che parte girano le nuove composizioni del genio di Woking.
I successivi Cafè Blue (1984) e Our Favorite Shop (1985) faranno di un eclettismo quasi schizofrenico il motore propulsore di canzoni destinate a durare nel tempo ed entrare nella leggenda: due dischi eterogenei eppure bilanciatissimi, che intrecciano pop e black music, jazz e chanson esistenzialista, pose dandy e slogan barricaderi.
Dura poco il progetto Style Council, visto che già al capitolo successivo (The Cost Of Loving, 1987) Talbot e Weller sembrano essere già stufi, svogliati e a corto d’idee. Il mediocre Confessions Of A Pop Group (1988) mette la parola fine alla storia e apre a Weller le porte di una lunga e brillantissima carriera solista.
Questa raccoltona (due cd e tre vinili), curata dallo stesso Weller, include il meglio di quella stagione (le hit ci sono proprio tutte), un paio di inediti (il demo di My Ever Changing Moods e una versione estesa di Dropping Bombs On The Whitehouse) oltre a qualche rara foto d’archivio. Un best of indispensabile per chi si dovesse approcciare alla band per la prima volta, e l’occasione per i fan e i completisti di avere a disposizione un filotto di canzoni memorabili da riascoltare fino a far affiorare una lacrimuccia di nostalgia. Dura poco, e questo è l’unico difetto di una splendida raccolta che si ascolta in loop.