Steven Knight. Prendiamo in considerazione (solo) i suoi lavori per il Cinema tralasciando le tante cose fatte per la televisione e diamo due numeri: in vent'anni tre film da regista, compreso questo, e più di una quindicina da sceneggiatore. In questo "squilibrio" sta la genesi di Locke: un'idea brillante, solo all'apparenza semplice ma che a conti fatti si rivela poco meno che geniale, tanto lavoro di fino sulla scrittura e la capacità di scegliere l'attore giusto, quello più indicato, quello perfetto per il ruolo. Semplificando, ovviamente non è così, potremmo dire che il film, riuscitissimo, si regge per il cinquanta per cento sulle capacità di scrittura di Knight e per l'altro cinquanta sulle doti immense d'attore di Tom Hardy. L'idea è questa: un uomo sale in auto e inizia a guidare verso Londra, nessun contatto diretto, solo lui e alcune voci (e che voci) a telefono, unità di tempo e di luogo, anche se è un luogo in movimento, ma l'abitacolo rimane pur sempre lo stesso abitacolo per tutto il film, un viaggio verso uno scopo, più precisamente un viaggio verso un'assunzione di responsabilità, un viaggio per seppellire anche il fantasma di un padre che nell'assenza si è rivelato parecchio ingombrante.
Ivan Locke (Tom Hardy) è un capocantiere che sta ultimando gli ultimi ritocchi affinché la più grande colata di cemento mai vista in Europa possa andare a buon fine e il complesso edilizio su cui sta lavorando da lungo tempo possa sorgere su basi solide. Qualche ora prima dell'inizio dei lavori Locke è però costretto a lasciare il suo posto al cantiere, mettersi al volante della sua auto e iniziare un viaggio alla volta di Londra, meno di un paio d'ore di strada, perché Bethan, l'unica donna con cui ha avuto una relazione extraconiugale in un momento di solitudine alcolica, sta per partorire prematuramente suo figlio e Locke non vuole scappare dalle sue responsabilità di padre, soprattutto alla luce delle cattive esperienze avute a causa dell'assenza del proprio. Durante queste due ore Locke, tramite il suo telefono, dovrà mantenere calma Bethan, in panico per l'arrivo del bimbo, alternare tutte le chiamate con quelle dei suoi due figli Eddie e Sean che non capiscono perché il padre non sia lì con loro per guardare una partita così importante, rito familiare consolidato, all'oscuro del fatto che quel legame familiare può andare in frantumi da un momento all'altro, dovrà confessare alla moglie Katrina il motivo per cui quella sera non potrà tornare a casa da lei, dovrà comunicare al suo capo Gareth perché a poche ore dall'inizio del lavoro più importante di sempre per la sua azienda il capocantiere incaricato di seguire i lavori, l'unico con la giusta esperienza per farlo, non sarà disponibile al momento della colata e dovrà far sì che l'inesperto Donal si carichi sulle spalle la responsabilità di far funzionare tutto il mattino seguente.
Sul piano metaforico Locke è il viaggio di un uomo verso la sua crescita definitiva, per una volta non sono gli eventi scaturiti sulla strada a scatenare quel processo di cambiamento che spesso il Cinema ci presenta, ma è una ponderata assunzione di responsabilità, pregressa, che porta al viaggio, un movimento durante il quale Locke dovrà iniziare a far fronte alle conseguenze della sua scelta. Già questo ribaltamento di assunto del road movie garantisce al film motivi per essere ricordato con favore, ma ciò che stupisce è la tenuta pazzesca che questo unico ambiente e le poche variazioni riescono a garantire a una pellicola che riesce ad appassionare senza nessun momento di stanca. Knight alterna la ripresa diretta sul volto di Hardy a inquadrature sul display del telefono ogni qual volta cambia l'interlocutore di Ivan, si concede qualche variazione interna e soggettive sulla strada, qualche ripresa dall'esterno dell'abitacolo sul traffico stradale. Il resto lo fa Tom Hardy che senza mai trascendere nei toni adatta la sua recitazione ai momenti, agli stati d'animo e agli interlocutori, in maniera pregevole dimostrando le sue grandi doti d'interprete. L'attore, unico di tutto il film, è ben sostenuto dalle voci dei coprotagonisti che in lingua originale sono niente meno che Olivia Colman (la partoriente Bethan), Ruth Wilson (la moglie Katrina), Andrew Scott, il Moriarty della serie Sherlock (qui interpreta Donal), Tom Holland e Bill Milner (i due figli).