Simone Cozzi ci porta in una nevosa Milano dei primi anni trenta, un’epoca segnata dal fascismo e dell’ascesa al potere di un folle, che avrebbe compiuto di lì a poco uno dei più grandi genocidi della storia umana. In quest’atmosfera tesa, resa ancora più oppressiva da un clima inclemente, si muove il protagonista Vittorio Ripamonti, Delegato di polizia incaricato di risolvere un misterioso omicidio avvenuto in un prestigioso hotel di Milano. Già dalle prime pagine la complessa figura di Ripamonti assume uno spessore che sovrasta la trama poliziesca e domina la narrazione: il protagonista ha infatti una vita interiore talmente vivace da impregnare con le sue domande e riflessioni ogni sua azione e luogo in cui egli si muove.
Lo spazio torbido è un romanzo giallo che non rimane in superficie accontentandosi di narrare le indagini per un omicidio; scava in profondità, soprattutto nella psiche del protagonista, pone domande sull’esistenza, compie parallelismi tra la sua coscienza e quella dell’assassino. Vittorio Ripamonti è un personaggio in cui ci si accomoda in fretta, come su una morbida poltrona, che è facile comprendere per il suo odio verso il regime fascista, per la sua sofferenza per una vita che non è andata nel verso giusto, per una solitudine che dilanierebbe l’anima di chiunque. Entrare nella sua testa è come aprire una porta sulla nostra coscienza, perché le sue riflessioni sono le nostre riflessioni, le sue paure sono le nostre paure. Ogni suo gesto viene illuminato da una consapevolezza e una malinconia che non lasciano indifferenti, e ogni sua domanda all’altro sé stesso, quello da cui fugge pur sapendo che non gli sarà mai davvero possibile, è una coltellata al cuore del lettore, che diventa un’altra vittima della storia. Si comprende infatti, pagina dopo pagina, come quello spazio torbido del titolo non sia peculiarità solo delle “cattive” persone, ma di chiunque cammini su questa Terra.
Uno spazio torbido che porta a quel vuoto emotivo responsabile della solitudine del protagonista. Ripamonti riconosce in sé quel lato oscuro e se ne sente attratto, e lo individua negli altri esseri umani e per questo li fugge, rimanendo irrimediabilmente solo. Così dilaniato dalla paura di essere meschino e violento quanto l’omicida, e dalla sofferenza di non essere più in grado di amare, il protagonista di questo romanzo sfida sé stesso e il lettore a scavare sempre più a fondo, a capire cosa c’è davvero sepolto dentro di noi e a tentare di dominarlo, così da riuscire a sedersi su una panchina a guardare la neve, finalmente in pace.